Tiroidite di Hashimoto

Di origine autoimmune, la tiroidite di Hashimoto è una patologa cronica infiammatoria che causa ipotiroidismo.

La tiroide è una ghiandola endocrina, produce cioè ormoni che riversa nel sangue. Ha una forma simile a una farfalla ed è situata nella parte anteriore del collo, tra la trachea e la laringe.

Secerne per il 90% l’ormone tiroxina (detto anche T4) e per il 10% l’ormone triiodotironina (detto anche T3).

La tiroide ha un ruolo fondamentale nello sviluppo sessuale, del sistema nervoso e dello scheletro, regola la temperatura del corpo, influisce sul ritmo sonno-veglia e sulla salute della pelle e dei capelli.

Può succedere però che la ghiandola inizi a non funzionare più come dovrebbe: i motivi di tale fenomeno non sono ancora del tutto noti, anche se gli esperti ritengono che gli ormoni femminili svolgano un ruolo importante, data l’alta incidenza di disturbi che il malfunzionamento di questa ghiandola provoca tra le donne.

La stanchezza è il primo sintomo

Spesso i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto non percepiscono alcuna sensazione di dolore e non presentano particolari sintomi.

Quando invece si manifestano, tra i più comuni c’è l’aumento del volume della tiroide, il cosiddetto gozzo, che in genere non causa particolari disturbi, tranne nei casi in cui è molto evidente.

I segni della malattia possono invece comparire quando l’aggressione da parte delle cellule del sistema immunitario provoca un’alterazione del funzionamento della ghiandola. In questi casi la persona avverte stanchezza, sensibilità al freddo, difficoltà a concentrarsi, calo della memoria e aumento di peso. Nei bambini si possono manifestare anche difficoltà di apprendimento e riduzione della velocità di crescita.

Purtroppo, dal momento che i sintomi della tiroidite sono spesso lievi, chi ne soffre non ne parla con il medico, con il risultato che, a poco a poco, la tiroide funziona sempre meno, fino a sfociare in un vero e proprio ipotiroidismo.

In rari casi può verificarsi invece un’eccessiva secrezione di ormoni tiroidei (ipertiroidismo) e, di conseguenza, possono manifestarsi sintomi come aumento del numero dei battiti del cuore, ipereccitazione, perdita di peso e una caratteristica protrusione dei bulbi oculari, detta esoftalmo, a causa della quale gli occhi sembrano “uscire fuori dalle orbite”.

Conta anche la familiarità

La presenza in famiglia di altri casi di tiroidite di Hashimoto aumenta il rischio di sviluppare questa malattia. In altre parole, la comparsa di questa patologia è più frequente tra i componenti di alcune famiglie piuttosto che di altre.

Una caratteristica interessante riguarda l’età della sua comparsa: spesso, quando colpisce i figli, la patologia si presenta a un’età inferiore rispetto a quella a cui si è manifestata nei genitori.

Nonostante la tiroidite di Hashimoto sia quindi caratterizzata da familiarità, non è mai stato dimostrato che un singolo gene sia responsabile della comparsa della malattia. Pertanto, è più corretto parlare di predisposizione e non di ereditarietà.

Il controllo dell’attività della tiroide deve essere più frequente se in famiglia ci sono altri casi di malattie autoimmuni e in gravidanza, quando la ghiandola va incontro a un maggior lavoro e può scatenare il problema nelle persone predisposte.

Gli esami utili

Spesso i sintomi vengono scambiati per le conseguenze di un prolungato periodo di stress o di convalescenza. La diagnosi avviene quindi per caso, in seguito agli esiti di esami eseguiti per altri motivi.

Se invece il medico sospetta proprio la tiroidite di Hashimoto, oltre alla visita con uno specialista prescriverà alcune analisi del sangue per valutare i tre principali indicatori della funzione tiroidea.

I primi due sono gli ormoni circolanti che produce la tiroide stessa: la triiodotironina libera (Ft3) e la tiroxina libera (Ft4), mentre il terzo è il dosaggio del TSH, l’ormone prodotto dall’ipofisi che stimola l’attività della tiroide e che per primo indica se la ghiandola sta lavorando al meglio oppure no.

In caso di tiroidite di Hashimoto, il dosaggio degli ormoni tiroidei risulta inferiore alla norma. Nel caso fossero presenti alterazioni, può essere richiesto di conoscere il livello degli anticorpi anti-sieroglobulina e anti-tireoperossidasi, anche se risultano negativi nel 10-15% delle persone con questa malattia.

Attraverso un’ecografia è possibile inoltre valutare le dimensioni della ghiandola e la sua struttura. Se viene riscontrata la presenza di noduli, il medico può prescrivere anche alcuni esami citologici, tra cui l’ago aspirato, una tecnica mininvasiva che consente di prelevare dalle cisti le cellule da analizzare in laboratorio.

A volte, però, questi test non sono sufficienti per diagnosticare con certezza la malattia e lo specialista può sottoporre la persona a una scintigrafia. L’esame si basa sul fatto che lo iodio è uno dei componenti fondamentali degli ormoni tiroidei. Somministrando una minima quantità di iodio radioattivo, è possibile verificare la funzionalità della tiroide e ottenere una vera e propria mappa della ghiandola che segnala, oltre all’infiammazione, anche la presenza di eventuali tumori.

Le cure possibili

Se non sempre è necessario ricorrere ai farmaci per curare la tiroidite di Hashimoto, è tuttavia importante seguire uno stile di vita sano e un’alimentazione corretta, rinunciare al fumo e svolgere un’attività fisica regolare.

Inoltre, è fondamentale tenere alta la guardia, sottoponendosi a controlli ogni sei mesi, in modo da intervenire al più presto in caso di un peggioramento dei dosaggi ormonali.

Quando, nonostante queste raccomandazioni, i sintomi non migliorano oppure i valori tendono a peggiorare, è necessario ricorrere a un trattamento farmacologico. In questi casi, il medico può prescrivere una terapia sostitutiva, che consiste nell'assumere ogni giorno una compressa di L-tiroxina, un ormone sintetico identico a quello prodotto dalla tiroide.

La L-tiroxina va presa 30-60 minuti prima di fare colazione; in alcune persone questa condizione può creare difficoltà nel seguire correttamente la cura. Per ovviare a tale inconveniente si può ricorrere alla L-tiroxina liquida, che si può assumere anche durante la colazione, soluzione gradita a gran parte dei pazienti.

Sì al movimento

Praticata regolarmente almeno tre volte alla settimana, l’attività fisica aiuta ad accelerare il metabolismo.

Gli sport consigliati sono la corsa, il nuoto e il tennis, ma anche camminare a passo veloce e pedalare. Oltre a migliorare l’umore e a consentire una buona mobilità delle articolazioni, aiutano a combattere l’astenia, la stanchezza e la depressione, tutti sintomi caratteristici della tiroidite di Hashimoto.

Anche l’alimentazione ha un ruolo importante

Lo iodio è l’elemento fondamentale che permette alla tiroide di produrre i propri ormoni. Pertanto, è necessario introdurne tutti i giorni una quantità sufficiente (pari, in una persona adulta, a 150 microgrammi), per esempio ricorrendo all’uso del sale iodato.

Tuttavia, è bene sapere che il consumo di sostanze contenenti grandi quantità di iodio, come le alghe marine, è ritenuto uno dei fattori che può favorire la comparsa della tiroidite di Hashimoto nelle persone predisposte.

Inoltre, una delle preoccupazioni di chi soffre di ipotiroidismo è quella di ingrassare. In realtà, il rischio è dovuto più a una dieta scorretta che al consumo di alimenti in grado di rallentare l’effetto dell’ormone preso per bocca.

I cibi sì e i cibi no

Tra i cibi da limitare ci sono cavolfiori, cavolini di Bruxelles, broccoli, rape, patate dolci, soia e fagioli. Lo stesso discorso vale per carni rosse, salumi, uova, formaggi, zucchero e latte intero: meglio eliminarli del tutto nelle fasi acute o di riacutizzazione del disturbo.

Agli alimenti ricchi di glutine come grano, farro o kamut, preferire riso, avena, miglio, orzo, mais, quinoa e grano saraceno.

Sono da privilegiare anche i cibi ricchi di omega 3, che svolgono un’azione antinfiammatoria. Via libera, quindi, a pesce azzurro, olio di semi di lino, noci, semi di zucca, mandorle, nocciole, rosmarino, banane e barbabietole.

Sì anche agli alimenti ricchi di vitamina A (tra cui pomodori, carote, peperoncino rosso, zucca gialla, radicchio e prezzemolo), vitamina C (contenuta in arance, mandarini, limoni, kiwi, ribes, ortica e prezzemolo) e vitamina E (che si trova in nocciole, mandorle, germe di grano, olio extravergine di oliva, pinoli, salvia e rosmarino essiccati).

Cesare Betti
Cesare Betti
Nato a Milano, città in cui risiede, si è laureato in medicina e chirurgia all’Università degli Studi di Milano, svolgendo la professione di medico per un breve periodo di tempo all’ospedale San Giuseppe di Milano, nel reparto di medicina e chirurgia.Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti dal giugno 1991, ha iniziato a lavorare come giornalista presso una redazione di riviste mediche per circa tre anni, dove si è occupato della stesura e della traduzione di articoli e di report da congressi medici.Attualmente collabora da diversi anni come free-lance con siti internet e con alcune riviste rivolte sia al pubblico sia ai farmacisti, scrivendo articoli di medicina e di salute. Inoltre, data la conoscenza in campo medico, collabora alla stesura di cartelle stampa, monografie su farmaci e report da congressi medici.Oltre a scrivere, nel tempo libero ascolta musica (soprattutto classica e lirica), adora il cinema e il teatro e non disdegna di passare qualche serata in un buon ristorante.

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