La celiachia: come riconoscerla nei bambini?

Disturbi gastrointestinali, crescita stentata, anemia sono alcuni dei segnali della possibile presenza di celiachia nei bambini.

Considerata “rara” fino a meno un decennio fa e promossa a “malattia cronica” nel 2008, oggi la celiachia sembra essere diventata una condizione pressoché universale e la dieta senza glutine, necessaria per tenerla sotto controllo, una vera e propria moda alimentare, soprattutto tra gli adulti.

In realtà, la diffusione della malattia non è cambiata nel corso del tempo: ad aumentare sono state, semmai, la sensibilità diagnostica dei medici e l’attenzione ai sintomi da parte dei pazienti, che hanno portato a evidenziare molti più casi rispetto al passato.

Nonostante questa accresciuta allerta e l’atteggiamento talvolta un po’ paranoico nei confronti del glutine, paradossalmente, la “vera” celiachia continua a essere sotto-diagnostica, soprattutto in età pediatrica. Ciò espone bambini e adolescenti inconsapevolmente intolleranti, non soltanto a ripetuti malesseri di vario tipo, ma anche a un concreto rischio di deficit nutrizionali che possono comprometterne una crescita sana e predisporre a seri problemi di salute in età adulta.

Per tutelarli è molto importante diagnosticare con precisione la celiachia fin dai primi anni di vita, sottoponendo all’attenzione del pediatra i neonati e i bambini che presentano sintomi sospetti (non soltanto di tipo gastroenterico) ed effettuando gli esami necessari per confermare la presenza della malattia, ossia i test anticorpali specifici, seguiti, se indispensabile, dall’esame endoscopico con biopsia della mucosa intestinale.

Che cos’è la celiachia

Come ormai quasi tutti sanno, la celiachia è una malattia caratterizzata dalla presenza di intolleranza al glutine, principale proteina naturalmente contenuta in cereali come frumento, grano, orzo, segale, farro, kamut e in tutti i cibi che derivano dalle loro farine (pasta, pane, prodotti da forno, creme ecc.), nonché rintracciabile in numerosi prodotti alimentari di origine industriale meno sospettabili, come dadi da brodo, salse e minestre già pronte, marmellate, gelati confezionati, creme ecc.

Benché le modalità esatte di insorgenza della celiachia restino da determinare, è noto che a causare i sintomi della malattia è un meccanismo autoimmunitario sollecitato dall’ingestione di glutine, basato sulla produzione di anticorpi anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi di tipo 2 (TTG2) (entrambi della classe delle IgA) e anti-gliandina deaminata (DGP) (appartenenti alla classe delle IgG), che vanno ad attaccare la porzione di intestino deputata all’assorbimento dei nutrienti, ossia i tratti iniziali dell’intestino tenue (duodeno e ileo).

In una persona sana l’epitelio di questa porzione di intestino presenta una superficie altamente ripiegata in formazioni simili a dita (villi intestinali), che hanno lo scopo di aumentare l’efficienza del passaggio di proteine, zuccheri, grassi, sali minerali e vitamine dal canale alimentare al sangue. In chi soffre di celiachia, la reazione abnorme al glutine determina il pressoché totale appiattimento dei villi intestinali (atrofia dei villi) e una seria compromissione dell’assorbimento dei nutrienti, con conseguente sviluppo di deficit nutrizionali significativi.

I sintomi della celiachia nei bambini

Sintomi e segni della celiachia non riguardano soltanto l’intestino e possono essere molto diversi in relazione all’età d’insorgenza della malattia, che può essere molto precoce e presentarsi già nel periodo dello svezzamento (6-24 mesi), quando oltre al latte si iniziano a proporre al neonato alimenti a base di cereali, come semolino, tapioca, pastina, biscotti per l’infanzia ecc., oppure un po’ più tardi, verso i 5-7 anni.

Nei primi 2 anni di vita, i principali aspetti che devono indurre i genitori a contattare il pediatra per un approfondimento diagnostico comprendono la comparsa di vomito frequente, diarrea cronica, gonfiore addominale, mancanza di appetito, crescita stentata o non in linea con l’età, ridotta massa muscolare.

Tutte queste manifestazioni devono insospettire soprattutto se insorgono in un bambino complessivamente sano e in assenza di fattori che possano notoriamente determinare disturbi gastrointestinali (come assunzione di cibi a rischio durante lo svezzamento o infezioni gastrointestinali) e se tendono a persistere per più di 1-2 settimane, senza dar segni di miglioramento.

Nei bambini più grandi la celiachia può analogamente dar luogo a diarrea cronica e apparentemente immotivata, ma anche, al contrario, a stipsi o comunque a un alvo irregolare. Inoltre, il bambino può andare incontro a perdita di peso non legata a cambiamenti delle abitudini dietetiche o della quantità di cibo assunto, scarsa crescita generale e bassa statura, anemia non corretta dalla terapia con ferro per bocca, stomatite aftosa ricorrente, ritardo dello sviluppo puberale, nonché a tutta una serie di disturbi neurologici quali mal di testa, irritabilità, nervosismo, apatia, difficoltà di apprendimento, scarsa coordinazione dei movimenti ecc.

La relativa carenza organica di calcio e vitamina D che può conseguire al malassorbimento intestinale associato alla celiachia può non dar luogo a sintomi evidenti nell’infanzia, ma va tempestivamente contrastata poiché interferisce con il metabolismo delle ossa e, oltre a precludere un pieno accrescimento scheletrico, promuove condizioni di osteopenia e osteoporosi precoce in età adulta.

Diversamente dagli adulti, i bambini celiaci in genere non presentano problematiche cutanee, come orticaria o dermatite erpetiforme, né alterazioni dello smalto dentale, che possono invece iniziare a comparire dopo la pubertà.

Essendo molto generiche e aspecifiche, nessuna delle manifestazioni della celiachia in età pediatrica, considerate singolarmente o in combinazione tra loro, è sufficiente per emettere una diagnosi certa di malattia, che potrà essere correttamente formulata soltanto dal pediatra dopo un esame accurato del quadro clinico generale del bambino, l’analisi degli standard nutrizionali e delle abitudini alimentari della famiglia e, non ultima, l’esecuzione di esami di laboratorio e strumentali per il riconoscimento dell’intolleranza al glutine.

Prima di aver completato questo iter diagnostico, l’eliminazione del glutine dalla dieta va assolutamente evitata, sia perché del tutto inappropriata in assenza di una diagnosi certa di celiachia sia perché, sottraendo lo stimolo immunitario alla base della malattia, impedirebbe una corretta valutazione della malattia attraverso i test specifici, portando quindi a sottovalutare l’effettivo impatto dell’ingestione di glutine sull’organismo.

La probabilità che sia presente la celiachia in bambini con i sintomi citati è maggiore se coesistono fattori di rischio per lo sviluppo della malattia, quali la presenza nella stessa famiglia di soggetti celiaci (in particolare genitori e/o fratelli) o con intolleranze/allergie di altro tipo e la contemporanea presenza di diabete di tipo 1, tiroidite o epatite autoimmuni, malattie infiammatorie croniche (malattia di Crohn, artrite reumatoide), sindrome di Down e di Turner (malattia che interessa soltanto le donne ed è dovuta all’assenza di un cromosoma X), malattia di Williams (patologia genetica rara caratterizzata da disturbi dello sviluppo).

La diagnosi di celiachia

Gli esami chiave per confermare la diagnosi di celiachia sono essenzialmente di due tipi:

- la ricerca degli anticorpi anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi di tipo 2 (TTG) e anti-gliandina deaminata (DGP), dopo un semplice prelievo di sangue venoso

- l’esecuzione dell’endoscopia gastroduodenale con biopsia e analisi di piccoli campioni di mucosa intestinale.

Il primo gruppo di esami (generalmente preliminari al secondo, in quanto molto meno invasivi e meno impegnativi da eseguire) è focalizzato sul riconoscimento
della causa scatenante la celiachia e permette di capire se il bambino
presenta una reattività immunitaria abnorme al glutine.

La seconda indagine è, invece, indirizzata ad analizzare
gli effetti intestinali dell’intolleranza e consente di osservare
direttamente lo stato della mucosa e dei villi intestinali
, da cui dipendono l’efficienza dell’assorbimento delle sostanze nutritive.

L’indagine endoscopica viene eseguita come una normale gastroscopia,
con l’unica differenza che il sondino è spinto fino all’inizio
dell’intestino tenue e presenta un dispositivo in grado di prelevare
frammenti di epitelio intestinale per l’analisi istologica, prima di
essere ritirato.

Posto che si tratta di un esame abbastanza fastidioso sia per i
bambini sia per gli adulti, di norma, prima di eseguirlo viene
somministrata una leggera sedazione che aiuta a tollerare meglio
l’ingresso del sondino (quello utilizzato per i bambini è comunque molto
più piccolo di quello usato per gli adulti e permette di effettuare
l’endoscopia senza difficoltà).

Una terza analisi che può essere sfruttata per
escludere (o indirettamente confermare) la diagnosi di celiachia è di
tipo genetico e consiste nella valutazione del genotipo relativo
al sistema di istocompatibilità HLA (Human Leukocyte Antigen) che, in
chi soffre di celiachia, di norma è caratterizzato da un polimorfismo
(cioè una variante genetica) chiamato HLA DQ2 e/o DQ8.
Nelle
persone con modesto sospetto di celiachia è utile effettuare questa
valutazione del genotipo prima di altre indagini diagnostiche più
impegnative.

Esami Scopo
Ricerca degli anticorpi anti-endomisio (EMA), anti-transglutaminasi di tipo 2 (TTG) e anti-gliandina deaminata (DGP) Individuare una reattività immunitaria abnorme al
glutine
Genotipo relativo al sistema di istocompatibilità HLA Escludere (o indirettamente confermare) la diagnosi di celiachia
Endoscopia gastroduodenale con biopsia Osservare direttamente lo stato della mucosa e dei villi intestinali

Sulla scorta delle evidenze degli ultimi anni si ritiene che la diagnosi di celiachia nei bambini possa essere considerata certa anche senza effettuare l’endoscopia e la biopsia se sono contemporaneamente presenti:

- livelli di anti-transglutaminasi di tipo 2 (TTG2) superiori di 10 volte alla soglia prevista dal test

- positività agli anticorpi anti-endomisio (EMA)

- genotipo HLA DQ2 e/o DQ8.

A prescindere dall’insieme di indagini che il medico, in accordo con le linee guida ufficiali e con le disposizioni di legge, riterrà utile effettuare per arrivare alla diagnosi di celiachia, quest’ultima potrà essere emessa soltanto da centri clinici accreditati con il Servizio sanitario nazionale (SSN) e dotati di adeguata esperienza e strumentazione specifica per la valutazione della celiachia.

L’alimentazione senza glutine

Una volta confermata la presenza di celiachia, per tutelare il bambino da disagi immediati e complicanze a medio-lungo termine non sono necessari farmaci, mentre è indispensabile eliminare il glutine dalla dieta.

Fortunatamente, ormai da alcuni anni, pianificare una dieta priva di glutine bilanciata dal punto di vista nutrizionale e soddisfacente per il palato è abbastanza semplice, vista la disponibilità in commercio di numerosissimi prodotti senza glutine (reperibili e facilmente individuabili anche nei supermercati e in gran parte dei negozi alimentari) e l’elevata sensibilità pubblica nei confronti della malattia, che ha portato moltissimi ristoranti, bar, mense scolastiche ecc. a prevedere piatti senza glutine nei menù.

Posto che il glutine è un’importante fonte proteica per l’organismo, la sua eliminazione deve essere compensata con un apporto di proteine di diverso tipo con valore nutrizionale paragonabile. Per essere certi di garantire al bambino una dieta sana e bilanciata, quindi, non è sufficiente sostituire la pasta con il riso o il pane e i biscotti con le corrispondenti versioni prive di glutine, ma è necessario predisporre con il pediatra o il nutrizionista un piano alimentare strutturato soddisfacente.

Rosanna Feroldi
Rosanna Feroldi
Da adolescente le avevano detto di fare il liceo classico e ha scelto lo scientifico. Alla maturità, le hanno detto di iscriversi Lettere e Filosofia e ha puntato su Biologia. Dopo laurea e tirocinio, al dottorato in elettrofisiologia ha preferito un corso di comunicazione e giornalismo scientifico della Facoltà di Farmacia - Università Statale di Milano. Insomma, non è il tipo che si lascia convincere facilmente. Da lì, è iniziato, più per gioco che per scelta, un percorso professionale che continua con soddisfazione da quasi vent'anni, passando da attività di consulente per la comunicazione su salute e stili di vita sani per il Progetto Città sane - Comune di Milano alla proficua collaborazione con la Fondazione San Raffaele di Milano, dove per 13 anni si è occupata di realizzare il magazine dell'Ospedale San Raffaele destinato ai pazienti e materiale divulgativo distribuito nell'ambito di campagne di sensibilizzazione, nonché di supportare l'attività di ufficio stampa. Contemporaneamente, entusiasta, mai stanca ed esagerando anche un po', ha interagito con numerose realtà editoriali come giornalista scientifica e medical writer, realizzando contenuti per riviste dirette al pubblico, ai medici e ai farmacisti. Il sopravvento del web ha cambiato molte cose, ma non l'ha indotta a desistere. Così, eccola ora alle prese prevalentemente con progetti editoriali online e attività di comunicazione/reportistica medico-scientifica nelle aree cliniche più disparate. A volte, si chiede come abbia fatto, altre come continuerà. The show must go on.

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