Celiachia, quali i test diagnostici

Non una semplice intolleranza alimentare, ma una vera e propria malattia autoimmune. Si tratta della celiachia, un’infiammazione cronica dell’intestino legata all’ingestione di glutine.

Il glutine è un complesso di proteine che contengono prolamine. Esistono diversi tipi di prolamine, tra le quali gliadina, secalina e ordeina rispettivamente presenti in frumento, segale e orzo, i cereali più tossici per i soggetti celiaci.

Nel linguaggio comune, tuttavia, è normale estendere il termine glutine anche alle proteine di altri cereali che devono essere esclusi dall’alimentazione di un celiaco, come farro, avena, kamut, triticale, bulgur, spelta.

Che cos’è la celiachia

La celiachia è la malattia genetica più frequente nella popolazione e si stima che abbia una prevalenza dell’1% a livello mondiale. In soggetti geneticamente predisposti l’ingestione di glutine scatena una reazione immunitaria abnorme che determina l’infiammazione cronica dell’intestino tenue con la progressiva atrofia dei villi intestinali. Questi, con il passare del tempo, si “appiattiscono” perdendo la capacità di assimilare nutrienti come ferro, vitamine, minerali, proteine, grassi e zuccheri.

Secondo la Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia del 2015, in Italia sono circa 183.000 gli individui celiaci, per il 70% donne. Una cifra in aumento rispetto agli anni passati per la maggior attenzione verso la patologia, anche se probabilmente non corrispondente alla realtà a causa dell’esistenza di molte forme asintomatiche e non ancora diagnosticate.

Celiaci, infatti, si diventa. Oggi è stato appurato che la malattia può svilupparsi anche durante la vita adulta, in concomitanza con eventi che ne possono favorire l’insorgenza, come infezioni virali, traumi emotivi acuti, gravidanza, interventi chirurgici. In pratica lo sviluppo della patologia è il risultato della combinazione di fattori genetici e ambientali, questi ultimi tuttora non noti.
La celiachia è una malattia benigna, ma se non trattata può esporre l’individuo al rischio di andare incontro a complicanze, come il linfoma intestinale. I celiaci inoltre sono a maggior rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni.

I sintomi

La sintomatologia della celiachia è molto varia e può interessare non solo il sistema digerente, ma anche altri apparati. Tra i sintomi intestinali, sono frequenti dolori addominali, disturbi intestinali, diarrea, meteorismo, stipsi.

Sintomi meno tipici sono invece dolori ossei e articolari, alterazioni dell’umore, alopecia, ulcere della bocca, danneggiamento dello smalto e del colore dei denti. Possono comparire inoltre spossatezza, stanchezza cronica, crampi muscolari e sensazione di intorpidimento delle gambe. Un altro sintomo poco comune è la dermatite erpetiforme, con arrossamenti pruriginosi soprattutto a livello di gomiti, ginocchia e sul dorso.

A causa dell’insufficiente assorbimento dei nutrienti, soprattutto qualora la malattia non venga diagnosticata tempestivamente, si possono verificare anemia, perdita di peso, osteopenia, osteoporosi.

Nei bambini, l’irritabilità è un sintomo molto comune; la presenza della malattia può causare inoltre ritardi di crescita.

Nelle donne alcune manifestazioni possono essere la spia di una celiachia non riconosciuta: irregolarità del ciclo mestruale, amenorrea, anemia da carenza di ferro, menarca tardivo o menopausa precoce, infertilità, complicanze in gravidanza come prematurità o aborti ripetuti. In presenza di alcune di queste situazioni è quindi lecito sospettare la celiachia e sottoporsi agli opportuni esami diagnostici, purché sempre sotto controllo del medico.

Come avviene la diagnosi di celiachia

Al momento non esistono evidenze scientifiche a favore di uno screening di popolazione; il primo passo per la diagnosi di celiachia è quindi il sospetto clinico, di solito da parte del medico di medicina generale, a seguito della comparsa dei sintomi.
Tuttavia, data l’estrema variabilità di questi, diagnosticare la celiachia può essere difficile. La malattia può infatti presentarsi in forma atipica, con esordio tardivo e sintomi extra-intestinali, e silente, cioè senza dare segni evidenti.

La diagnosi di celiachia si basa su due tipi di analisi:

  • il dosaggio nel sangue di anticorpi specifici anti-gliadina, (IgA e IgG) e di anticorpi anti-transglutaminasi (tTG) che l’organismo produce in risposta al glutine, percepito come sostanza estranea
  • la biopsia della mucosa duodenale, per quantificare il danno riportato dai villi intestinali. L’esame viene effettuato prelevando piccoli frammenti di mucosa duodenale durante una esofagogastroduodenoscopia, poi visionati al microscopio.

In alcune situazioni dubbie si ricorre anche alla ricerca degli anticorpi anti-endomisio (EmA), sviluppati in risposta al danno continuo a carico del rivestimento intestinale.

È importante che sia gli esami del sangue sia l’esame istologico siano eseguiti a dieta libera, cioè contenente glutine. In caso contrario la diagnosi corretta ne verrebbe pregiudicata: fintanto che si è a dieta senza glutine, infatti, gli accertamenti per la celiachia risultano negativi, anche nei soggetti celiaci.

Una condizione ibrida, denominata “sensibilità al glutine non celiaca” (Gluten sensitivity), riguarda una quota crescente di persone che manifestano sintomi intestinali e non (mal di stomaco, mal di testa, sensazione di affaticamento e depressione) a seguito dell’ingestione di glutine e per i quali sia già stata esclusa sia la celiachia sia l’allergia al grano. Questi soggetti, ai quali spesso viene diagnosticata la sindrome del colon irritabile, si giovano di una dieta priva di glutine. Si tratta di una condizione che ha ormai perso la connotazione di disturbo psicologico che le era stata attribuita fino a pochi anni fa e che è oggetto di crescente interesse da parte della comunità scientifica, impegnata a individuarne i marker diagnostici.

I test per diagnosticare la celiachia

Negli adulti il primo passo del processo diagnostico consiste nel dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi tTG e delle IgA totali nel sangue. Valori nei limiti di norma escludono la presenza di celiachia. Se invece i risultati sono superiori ai limiti con un alto titolo, il passaggio successivo è la biopsia duodenale, che stabilirà con certezza l’eventuale presenza della malattia.
Quando infine gli stessi anticorpi risultano superiori alla norma ma a basso titolo, si rende necessario ricorrere alla valutazione degli anticorpi anti-endomisio. Un risultato positivo di quest’ultimo test comporta l’esecuzione della biopsia duodenale, mentre un risultato negativo esclude la possibilità della malattia.

Simile il percorso in età pediatrica. Il primo passo consiste nel dosaggio degli anticorpi anti-tTg e IgA totali. La celiachia viene esclusa se entrambe le valutazioni danno risultati nella norma. Qualora invece le transglutaminasi risultino nella norma e le IgA totali siano inferiori a 5, è necessario procedere alla valutazione delle IgG: valori nella norma indicano l’assenza di celiachia; negli altri casi si ricorre alla biopsia duodenale. Per i bambini al di sotto dei due anni di età la diagnosi si avvale anche degli anticorpi anti-gliadina deamidata (anti-dGP IgG).
Nella situazione intermedia, caratterizzata da alterazione degli anticorpi anti-transglutaminasi e valori di IgA totali nella norma, il percorso di diagnosi è meno invasivo in quanto è possibile evitare la biopsia.

A seguito delle indicazioni della Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica (ESPGHAN), le nuove Linee guida pubblicate nel 2015 (Protocollo per la diagnosi e il follow-up della celiachia) hanno infatti stabilito che la diagnosi di celiachia può prescindere dalla biopsia duodenale nei bambini con:

  • quadro clinico di malassorbimento e sintomi correlati all’assunzione di glutine
  • anticorpi anti-tTG IgA superiori di almeno 10 volte al valore soglia
  • positività per gli anticorpi anti-endomisio EmA IgA
  • profilo genetico compatibile (HLA-DQ2 e/o DQ8).

Attenzione ai familiari

Data la natura genetica della patologia, per ogni nuova diagnosi è opportuno effettuare uno screening degli anticorpi in tutti i parenti di primo grado del malato: genitori, fratelli e sorelle, figli sono considerati a rischio di celiachia.
Possedere un genotipo HLA-DQ2 e HLA-DQ8 costituisce in questo senso un prerequisito per lo sviluppo della malattia. Questo non significa che chi possiede questi geni sia necessariamente celiaco, ma semplicemente che ha la predisposizione a diventarlo.

In una famiglia con alta prevalenza di celiachia, la richiesta della tipizzazione genomica dell'HLA potrebbe essere uno strumento per stabilire la necessità di controlli periodici degli anticorpi anti-transglutaminasi, che nei soggetti asintomatici dovrebbero essere ripetuti ogni due anni.

Lo stesso vale per le persone affette da patologie autoimmuni, come per esempio tiroidite e diabete, oltre che sindrome di Down, sindrome di Turner e sindrome di Williams, dove la prevalenza della celiachia può superare il 10%.

Le cure

La celiachia è una malattia cronica, che una volta manifestatasi non regredisce e per la quale non esiste a oggi una cura definitiva. L’unico trattamento che permetta ai celiaci di mantenere un buono stato di salute è la completa eliminazione del glutine dalla propria alimentazione.

I soggetti celiaci devono quindi evitare tutti gli alimenti a base di cereali che lo contengano, come pane, pasta, pizza, crackers, grissini, e quelli dove il glutine è contenuto perché aggiunto durante i processi produttivi, per esempio salumi, gelati, piatti pronti, birra.
Si tratta di una dieta di eliminazione che può però contare su molti alimenti naturalmente privi di glutine. Non solo legumi, ortaggi, frutta, patate, latte e derivati, ma anche numerose varietà di cereali: riso, mais, miglio, quinoa, sesamo, amaranto, grano saraceno, sorgo.

La dieta priva di glutine deve essere seguita scrupolosamente per tutta la vita e permette di eliminare gradualmente i sintomi, normalizzare la mucosa duodenale e prevenire le complicanze. Il recupero del benessere richiederà un tempo variabile a seconda delle condizioni di partenza: secondo l’esperienza clinica si tratta in genere di 6-12 mesi.

Stefania Cifani
Stefania Cifani
Nata e cresciuta a Milano, approda alla comunicazione dopo alcuni anni nella ricerca clinica e farmaceutica. Prima all’Istituto Mario Negri, presso il Dipartimento di oncologia dove si occupa soprattutto dell’aspetto della valutazione della qualità di vita negli studi clinici, in seguito presso una società di ricerche di mercato specializzata nel settore farmaceutico e ospedaliero. Nel frattempo matura l’interesse per il giornalismo e la divulgazione per cui al termine di questa esperienza, dovuta alla chiusura della società, frequenta il Master in comunicazione e salute nei media contemporanei presso la facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano. Inizia quindi a collaborare con riviste di settore, dirette a farmacisti, e in seguito con altre testate cartacee e online rivolte sia a professionisti sia al pubblico, scrivendo articoli di medicina e salute. Giornalista pubblicista dal 2013, oggi si divide tra lavoro e famiglia, alle prese con una figlia adolescente. Quando resta un po’ di tempo ama ballare e cucinare.

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