Anemia falciforme: sintomi e cause

L'anemia falciforme è una beta-talassemia legata a un difetto genetico ereditario.

Le anemie sono malattie del sangue estremamente variegate per cause e sintomi, accomunate dalla presenza di alterazioni nella quantità o nella struttura/funzionalità dell'emoglobina, la proteina da cui dipendono il trasporto nel sangue dell'ossigeno assorbito nei polmoni e il suo rilascio nei tessuti e il trasporto inverso, dai tessuti ai polmoni, dell'anidride carbonica di scarto che deve essere eliminata con la respirazione.

Entrambe queste azioni sono fondamentali per permettere a tutti i tessuti dell'organismo di mantenersi attivi e vitali; ogni difetto dell'emoglobina può infatti comprometterne il funzionamento e l'integrità.

L'emoglobina sana e quella difettosa

L'emoglobina è una proteina globulare formata da quattro “masserelle” più piccole, a due a due uguali, ripiegate su stesse in modo caratteristico e chiamate catene alfa e catene beta.

Ciascuna catena contiene una struttura ad anello chiamata gruppo eme, al cui centro è presente l'atomo di ferro responsabile del legame dell'emoglobina con l'ossigeno. Ogni molecola di emoglobina "normale" (HbA) può legare e trasportare fino a 4 atomi di ossigeno, in relazione al grado di ossigenazione del sangue e alle richieste dei tessuti.

Durante la gravidanza, nel sangue del feto in via di sviluppo è presente una particolare forma di emoglobina, chiamata emoglobina fetale, caratterizzata dalla presenza di due catene gamma, al posto delle due catene beta. Queste catene gamma hanno una maggiore affinità per l'ossigeno rispetto alle catene beta della HbA normalmente presente dopo la nascita e ciò ottimizza l'assorbimento dell'ossigeno dal sangue materno da parte del feto. Una piccola quota di emoglobina fetale continua a essere prodotta anche dopo la nascita e in età adulta.

Dal momento che una corretta ossigenazione dell'organismo è indispensabile per gran parte delle funzioni fisiologiche, ogni alterazione nella produzione, nella sequenza o nella struttura dell'emoglobina (emoglobinopatia) tale da modificare in modo significativo gli scambi di ossigeno e anidride carbonica tra polmoni, sangue e tessuti comporta l'insorgenza di stati di anemia, disturbi e complicanze più o meno severi, a vari livelli.

Le emoglobinopatie comprendono patologie legate alla produzione di emoglobina anomala e l'ampio gruppo delle talassemie, che si distinguono a loro volta in alfa-talassemie e beta-talassemie, in relazione al fatto che il difetto riguardi la catena alfa o la catena beta dell'emoglobina.

L'emoglobinopatia più diffusa a livello mondiale è l'anemia a cellule falciformi: una beta-talassemia chiamata anche "anemia drepanocitica" o "drepanocitosi". In Italia, invece, è particolarmente diffusa una beta-talassemia chiamata "anemia mediterranea". Vediamo di che cosa si tratta.

Cos’è l’anemia falciforme

L'anemia falciforme o, per meglio dire, "a cellule falciformi" è una malattia genetica del sangue caratterizzata dalla presenza di un difetto genetico che causa la produzione di emoglobina con proprietà molecolari distintive e una conformazione anomala.

L'alterazione strutturale dell'emoglobina, che viene definita emoglobina S o HbS (emoglobina falciforme), porta i globuli rossi (detti anche "eritrociti" o "emazie") che la contengono ad assumere una forma di falce o mezzaluna, anziché tondeggiante e leggermente concava, con bordi più spessi e una zona più sottile al centro.

Questa deformazione, rende i globuli rossi più rigidi e fragili, nonché caratterizzati da una maggiore tendenza ad aggregarsi tra loro, con conseguenti problemi in termini di circolazione del sangue e ossigenazione dei tessuti dell'organismo.

Eritrociti più rigidi e "appiccicosi", infatti, si muovono più lentamente nei vasi sanguigni e, attaccandosi l'uno all'altro, possono determinare l'occlusione di quelli più piccoli (capillari), impedendo all'ossigeno di raggiungere i tessuti periferici. Questa condizione, detta di "ipossia" o "ischemia", causa la sofferenza dei tessuti interessati, che non ricevono l'ossigeno di cui hanno bisogno in quantità sufficiente per il loro metabolismo, e si associa alla comparsa di dolore e disfunzioni di vario tipo.

In aggiunta, i globuli rossi a forma di falce si danneggiano facilmente e sono più propensi a essere sequestrati e distrutti dalla milza, organo del sistema immunitario che ha proprio la funzione di favorire l'eliminazione delle emazie invecchiate o alterate per far posto ai nuovi globuli rossi costantemente prodotti dal midollo osseo. D’altra parte, le stesse cellule falciformi sono in grado di danneggiare la milza, a causa della loro tendenza a ostruire i piccoli vasi sanguigni che attraversano questo organo linfoide secondario.

Le basi genetiche dell'anemia falciforme

Per quanto possa apparire sorprendente, il difetto genetico che porta alla formazione di emoglobina HbS ed eritrociti deformati consiste nella sostituzione di un solo amminoacido dei 146 che costituiscono ciascuna catena beta. In particolare, a essere erroneamente presente è un acido glutammico, carico negativamente, al posto dell'amminoacido valina, elettricamente neutro, in posizione 6.

La presenza della carica elettrica negativa aggiuntiva dell'acido glutammico interferisce con il ripiegamento della catena beta dell'emoglobina, che quindi assume la tipica conformazione patologica (HbS). L'HbS (emoglobina falciforme) legata all'ossigeno ha una solubilità inferiore a quella dell'emoglobina normale (HbA) legata all'ossigeno e ciò fa sì che all'interno dei globuli rossi si formi un gel che fa assumere agli eritrociti la forma di falce.

Nonostante il difetto genetico e la conseguente alterazione della catena beta dell'emoglobina siano costitutivi, il numero di globuli rossi a forma di falce non è costante, ma dipende da quanto ossigeno è presente nell'ambiente esterno e da quanto ne arriva nel sangue attraverso i polmoni, in rapporto alle richieste di ossigenazione dell'organismo.

In particolare, il numero di emazie a forma di falce aumenta quando l'ossigeno nel sangue scarseggia, una situazione che può essere riscontrata quando si praticano sport che richiedono uno sforzo fisico molto intenso, ci si reca in alta montagna o si fanno immersioni senza bombole. Altre condizioni che determinano un aumento dei globuli rossi falciformi e, quindi, del rischio di riacutizzazioni della malattia (crisi vaso-occlusive) sono le infezioni virali, la febbre e i traumi localizzati.

Va precisato che a essere danneggiate dalla presenza della HbS (emoglobina falciforme) sono soltanto le persone che hanno entrambe le copie del gene per la catena beta dell'emoglobina alterate (ossia, gli omozigoti per il difetto genetico). Le persone che ne posseggono una copia alterata e una normale (eterozigoti), invece, sono in grado di assicurarsi una produzione di HbA sufficiente a garantire un'ossigenazione dell'organismo adeguata e non presentano sintomi. Questi soggetti sono portatori sani della malattia o, come dicono i medici, sono caratterizzati da un "tratto falciforme".

In realtà, pur non presentando sintomi e non dovendo sottoporsi a trattamenti specifici, è bene che anche i portatori sani siano consapevoli del difetto genetico presente nel loro DNA poiché il "tratto falciforme" si associa a un aumentato rischio di morte improvvisa durante sforzi intensi, di embolia ai polmoni e di danni ai reni (talvolta segnalati da tracce di sangue nell'urina): tutte eventualità che meritano di essere monitorate e, ove possibile, prevenute.

Riconoscere la malattia prima e dopo la nascita

In un’ottica di prevenzione, è bene che due soggetti portatori sani, entrambi eterozigoti per il gene mutato, siano consapevoli di avere una probabilità del 25% (un caso su quattro) di mettere al mondo un figlio sicuramente ammalato.

Per sapere se si è portatori sani del difetto genetico responsabile della drepanocitosi ci si deve sottoporre a un test che prevede l'analisi del DNA, seguito da counselling genetico finalizzato a supportare le decisioni in merito alla genitorialità, in funzione dell'esito ottenuto.

Se una coppia di genitori entrambi portatori sani mette al mondo un bambino, la stessa analisi del DNA verrà effettuata durante la gravidanza sul feto nel contesto della procedure di diagnosi prenatale (dopo prelievo dei villi coriali o del liquido amniotico). In questo modo sarà possibile sapere precocemente se il bambino presenterà anemia falciforme, se sarà a sua volta soltanto portatore sano o se avrà avuto la fortuna di ricevere la copia sana del gene della catena beta da entrambi i genitori, possedendo quindi esclusivamente emoglobina HbA del tutto normale.

Una volta nati, la presenza dell'anemia a cellule falciformi nei bambini a rischio e/o in bambini che iniziano a presentarne i sintomi caratteristici nei primi mesi di vita (in genere, verso il 5°-6° mese) può, invece, essere confermata analizzando uno striscio di sangue periferico ed eseguendo l'elettroforesi dell'emoglobina, dopo un semplice prelievo.

Quali sono i sintomi

Le persone affette da anemia falciforme vanno incontro a una serie di problemi fin dai primi anni di vita, con periodi di relativo benessere e altri caratterizzati da disturbi più severi, conseguenti alla compromissione dell'apporto di ossigeno ai diversi organi e tessuti (ipossia o ischemia) e ai danni locali o sistemici che ne derivano. Queste fasi fortemente sintomatiche vengono dette crisi vaso-occlusive.

In generale, chi soffre di anemia falciforme presenta sempre un certo grado di anemia (ossia una più o meno marcata riduzione della concentrazione di emoglobina nel sangue), sentendosi quindi spesso stanco e andando facilmente incontro ad affaticamento e affanno (dispnea) anche dopo sforzi modesti; inoltre, sono di norma presenti debolezza muscolare, difficoltà di concentrazione, problemi alla vista e frequente mal di testa.

In aggiunta, bambini e adulti con drepanocitosi sono possono essere interessati da ittero di grado variabile a causa dell'aumento dei livelli di bilirubina nel sangue, dovuto alla degradazione dell'emoglobina contenuta nei globuli rossi alterati, distrutti dalla milza molto più velocemente del normale (la vita media delle emazie in un paziente con anemia falciforme è di soli 10-20 giorni contro i 120 giorni delle persone con emoglobina non alterata). La presenza di ittero si riconosce dal fatto che la pelle e la parte bianca degli occhi (sclera) assumono una colorazione giallastra.

Oltre a queste manifestazioni, chi soffre di anemia a cellule falciformi può presentare mal di stomaco e nausea e andare incontro a episodi dolorosi con esordio improvviso e durata variabile a carico di diverse parti del corpo (torace, addome, articolazioni ecc.), legati all'ostruzione parziale o totale di specifici gruppi di vasi sanguigni, nonché a ulcere alle gambe dovute a scarsa ossigenazione dei tessuti.

La marcata tendenza dei globuli rossi ad aggregare aumenta il rischio di trombosi: quando l'occlusione si verifica a livello dei vasi sanguigni che irrorano il cervello, si possono verificare ictus; mentre un evento tromboembolico periferico può determinare embolia polmonare . Negli uomini, quando i vasi sanguigni interessati sono quelli che irrorano il pene, si può instaurare priapismo, ossia un'erezione prolungata e dolorosa che, se persistente o ripetuta, può danneggiare l'organo in modo permanente.

L'intensa attività di sintesi dei globuli rossi costantemente richiesta al midollo osseo per sostituire quelli rapidamente distrutti dalla milza può determinare l'insorgenza di dolore alle ossa, che può peggiorare nel corso dell'invecchiamento. Nei bambini, invece, è frequente l'insorgenza della sindrome mani e piedi, caratterizzata da gonfiore e dolore alle estremità degli arti, e la crescita può essere rallentata rispetto a quanto previsto in base all'età.

In aggiunta, chi soffre di anemia drepanocitica è più spesso interessato da infezioni di vario tipo poiché la malattia danneggia la milza, che rappresenta un'importante linea di difesa nei confronti degli agenti patogeni (in particolare, i batteri). Oltre alla milza, la presenza di eritrociti a forma di falce con il tempo può danneggiare altri organi fortemente irrorati dal sangue come i polmoni, il fegato e i reni, dando luogo a complicanze severe.

Come si cura l'anemia falciforme

L'unica reale cura per l'anemia falciforme è rappresentata dal trapianto di midollo osseo o di cellule staminali del sangue (dette "ematopoietiche") ottenute da un donatore sano e compatibile dal punto di vista immunologico, purtroppo non sempre disponibile.

La procedura è ben collaudata, ma delicata e non esente da rischi (compresi quelli di insuccesso del trapianto e di morte del paziente), anche a causa della progressiva compromissione di diversi organi vitali e dello stato di salute generale dei pazienti determinata dall'anemia falciforme. Per ridurre le possibili criticità, in genere, il trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche viene si riservato a bambini e adolescenti.

In attesa di essere sottoposto a trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche o come alternativa se non si è candidati a effettuarlo, chi soffre di drepanocitosi può avvalersi di trattamenti finalizzati a prevenire le crisi vaso-occlusive, a tenere sotto controllo i sintomi della malattia e a prevenirne le complicanze.

In particolare, per prevenire le infezioni (soprattutto quelle respiratorie, compresa la polmonite), a partire da 2 anni e fino ad almeno i 5 anni, i bambini con anemia a cellule falciformi vengono sottoposti a terapia antibiotica (in genere, con una penicillina), in aggiunta all'esecuzione di tutte le vaccinazioni previste per l'età pediatrica. La terapia cronica con antibiotici e le vaccinazioni restano necessarie anche negli adulti splenectomizzati (ossia sottoposti all'intervento di asportazione della milza). Le principali vaccinazioni "non-pediatriche" necessarie sono quella antipneumococcica e quella antinfluenzale annuale.

Per ridurre la frequenza delle crisi vaso-occlusive dolorose viene somministrata quotidianamente idrossiurea, che aiuta a diminuire anche la necessità di ricoveri ospedalieri e il ricorso a trasfusioni di sangue da donatore sano per gestire gli episodi più gravi. Gli effetti favorevoli dell'idrossiurea sembrano essere in parte legati alla sua capacità di stimolare la produzione residua di emoglobina fetale in bambini e adulti.

Altre azioni utili per chi soffre di anemia falciforme comprendono:

  • l'assunzione quotidiana di acido folico e complessi multivitaminici
  • il mantenimento di un'alimentazione sana e bilanciata, ricca di frutta, verdura fresche, crude o poco cotte, cereali e adeguate quantità di prodotti di origine animale (carne, pesce, legumi, uova e latticini magri)
  • l'assunzione abbondante di acqua e altri liquidi per assicurare un'idratazione ottimale
  • l'esercizio fisico regolare, ma moderato
  • l'assunzione di farmaci analgesici da banco per attenuare il dolore quando si manifesta, cercando invece di evitare l'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

Terapie più efficaci, sicure e potenzialmente risolutive per chi soffre di anemia falciforme potrebbero entrare in pratica clinica nei prossimi anni grazie ai progressi della sperimentazione in campo ematologico. L'approccio più interessante e promettente è quello basato su tecniche di terapia genica, orientate a sostituire il gene della catena beta difettoso presente nel DNA delle cellule staminali ematopoietiche dei pazienti con il gene sano per l'HbA.

Altri fronti della sperimentazione riguardano la possibilità di sfruttare inalazioni di un gas chiamato ossido nitrico (NO), che dovrebbero ridurre la tendenza ad aggregare dei globuli rossi a forma di falce, e l'individuazione di nuovi farmaci in grado di stimolare la produzione di emoglobina fetale da parte del paziente.

Anemia falciforme e talassemia

L'anemia a cellule falciformi è diffusa quasi esclusivamente tra le persone di origine africana. L'8-13% della popolazione statunitense afro-americana presenta il difetto genetico in un solo gene della catena beta dell'emoglobina (soggetti eterozigoti portatori sani, con "tratto falciforme" ma senza i sintomi della malattia), mentre lo 0,3% presenta il difetto su entrambe le copie del gene (soggetti omozigoti, con malattia sintomatica).

In Italia, soprattutto nelle Regioni del Sud e nelle isole, è invece frequente il riscontro di persone portatrici di un difetto genetico differente, ma sempre a carico delle catene beta dell'emoglobina, responsabile di una beta-talassemia chiamata "anemia mediterranea", in considerazione della sua distribuzione epidemiologica prevalente nei Paesi del bacino del Mediterraneo.

Anche l'anemia mediterranea, come quella a cellule falciformi, si trasmette in modo autosomico recessivo, il che significa che soltanto le persone omozigoti, con entrambe le copie del gene della catena beta mutate, sviluppano la malattia, mentre gli eterozigoti non avranno sintomi, ma potranno trasmettere il difetto genetico ai figli (che si ammaleranno, però, soltanto se anche l'altro genitore trametterà un difetto genetico analogo).

I principali sintomi dell'anemia mediterranea sono simili a quelli dell'anemia a cellule falciformi, ma è difficile che le due forme vengano confuse, soprattutto quando non interessano persone di origine africana.

Un aspetto distintivo dell'anemia mediterranea riguarda la tendenza a determinare accumuli di ferro in organi vitali come il cuore, il fegato e le ghiandole endocrine, compromettendone severamente il funzionamento. Spesso, sono proprio le complicanze a questi livelli (insufficienza cardiaca, valvulopatie, ipertensione polmonare, cirrosi epatica e tumore del fegato ecc.) le principali cause di morte tra chi soffre di questa beta-talassemia.

La conferma del tipo di anemia presente e la diagnosi differenziale, anche rispetto ad altre forme di beta-talassemia o alfa-talassemia, si ottengono effettuando esami come:

  • l'emocromo
  • l'elettroforesi dell'emoglobina
  • la valutazione della transferrina sierica, della ferritina e della capacità di legame del ferro
  • lo striscio di sangue periferico
  • l'ematocrito
  • la valutazione dell'urobilina e della bilirubina sierica.

Anemia falciforme e malaria

Il fatto che il difetto genetico all'origine dell'anemia a cellule falciformi e, quindi, la malattia stessa siano particolarmente diffusi tra le persone di origine africana non è un caso. La presenza di una certa quota di emoglobina HbS (emoglobina falciforme) nel sangue è, infatti, risultata essere un fattore protettivo nei confronti della malaria, malattia infettiva trasmessa da zanzare Anopheles infettate dal Plasmodium falciparum (protozoo responsabile della patologia) con distribuzione endemica nei Paesi africani e caratterizzata da un'elevata mortalità, se contratta in contesti igienico-sanitari precari e privi di terapie farmacologiche adeguate.

Presentare una sola copia del gene difettoso ("tratto falciforme") permette di avere nel sangue una quantità di emoglobina normale HbA sufficiente per non presentare i sintomi dell'anemia drepanocitica, ma anche abbastanza emoglobina HbS (emoglobina falciforme) per scoraggiare la moltiplicazione del Plasmodium falciparum nel sangue, risultando quindi almeno parzialmente resistenti alla malaria.

Questo "vantaggio" dato dalla quota di HbS (emoglobina falciforme) è stato premiato dall'evoluzione, che ha selezionato positivamente le persone con "tratto falciforme" rispetto a quelle con HbA normale, nei Paesi dove il Plasmodium falciparum era (ed è) molto diffuso. Le stesse persone di origine africana "avvantaggiate", emigrando, hanno portato con sé il difetto genetico della catena beta dell'emoglobina e l'hanno trasmesso alle generazioni successive, che l'hanno quindi "disseminato" anche in altre zone del mondo.

Tuttavia, in aree come Europa o negli Stati Uniti, dove la malaria non è presente in modo endemico, essere portatori sani del difetto genetico dell'anemia falciforme non comporta alcun beneficio e può rappresentare una criticità se si desidera avere un figlio con un partner anch'esso portatore del "tratto falciforme".

Rosanna Feroldi

Rosanna Feroldi
Rosanna Feroldi
Da adolescente le avevano detto di fare il liceo classico e ha scelto lo scientifico. Alla maturità, le hanno detto di iscriversi Lettere e Filosofia e ha puntato su Biologia. Dopo laurea e tirocinio, al dottorato in elettrofisiologia ha preferito un corso di comunicazione e giornalismo scientifico della Facoltà di Farmacia - Università Statale di Milano. Insomma, non è il tipo che si lascia convincere facilmente. Da lì, è iniziato, più per gioco che per scelta, un percorso professionale che continua con soddisfazione da quasi vent'anni, passando da attività di consulente per la comunicazione su salute e stili di vita sani per il Progetto Città sane - Comune di Milano alla proficua collaborazione con la Fondazione San Raffaele di Milano, dove per 13 anni si è occupata di realizzare il magazine dell'Ospedale San Raffaele destinato ai pazienti e materiale divulgativo distribuito nell'ambito di campagne di sensibilizzazione, nonché di supportare l'attività di ufficio stampa. Contemporaneamente, entusiasta, mai stanca ed esagerando anche un po', ha interagito con numerose realtà editoriali come giornalista scientifica e medical writer, realizzando contenuti per riviste dirette al pubblico, ai medici e ai farmacisti. Il sopravvento del web ha cambiato molte cose, ma non l'ha indotta a desistere. Così, eccola ora alle prese prevalentemente con progetti editoriali online e attività di comunicazione/reportistica medico-scientifica nelle aree cliniche più disparate. A volte, si chiede come abbia fatto, altre come continuerà. The show must go on.

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