Intestino irritabile: che scocciatura

Una sensazione dolorosa, più che un dolore vero e proprio. Non particolarmente intensa, di solito, ma molesta. Che per altro cambia anche localizzazione: a volte il fastidio è fisso in un punto, a volte vaga da un fianco all'altro. È questa la fotografia più comune della sindrome da intestino irritabile. A cui si aggiunge, spesso, un gonfiore che fa sentire l'addome fastidiosamente disteso e ingombrante.

A complicare ulteriormente la vita si aggiunge il fatto che la regolarità con la quale le funzioni intestinali si dovrebbero espletare sembra completamente perduta.

Può capitare di dover correre in bagno di frequente e con urgenza oppure di disertarlo per giorni. Il tutto con un andamento non sempre prevedibile.

La cause sono ancora incerte

Indicata in precedenza con nomi diversi che facevano genericamente riferimento a una supposta origine flogistica (colite spastica, colite mucosa), la sindrome del colon irritabile non ha in realtà niente a che vedere con le malattie infiammatorie croniche dell'intestino (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa, celiachia).

Non è nemmeno una vera e propria malattia, in quanto il colon cosiddetto“irritabile” non presenta alcuna alterazione organica, ma soltanto un “difetto” di funzionamento.

Anche se sono state avanzate varie ipotesi, non è infatti chiaro quali siano le cause. Tra le possibilità si sono annoverate: una predisposizione genetica, pregresse infezioni del tratto gastroenterico, squilibri della flora batterica, intolleranza a specifici alimenti, una personalità tendente all'ansia e alla somatizzazione, depressione, nonché una generica ipersensibilità intestinale con aumentata percezione del dolore viscerale.

La spiegazione più verosimile è che, come la maggior parte dei disturbi funzionali, anche la sindrome del colon irritabile sia una condizione multifattoriale, a determinare la quale possono cioè concorrere simultaneamente più fattori, in combinazioni diverse da caso a caso, e la cui espressione clinica è fortemente influenzata anche da stimoli esterni.

Quali che siano i fattori causali o quelli scatenanti, il risultato è una disorganizzazione della motilità intestinale, che può alterarsi sia nel senso di un'accentuazione, con accelerazione del transito delle feci e diminuito riassorbimento di acqua (causa di diarrea), sia nel senso di un'inibizione, con rallentamento del transito delle feci e aumentato riassorbimento di acqua (causa di stitichezza).

A provocare il dolore sono, nel primo caso, le contrazioni intestinali più intense e nel secondo la distensione delle pareti intestinali per ristagno di feci e formazione di gas.

La diagnosi si basa sui sintomi

Non potendo fare riferimento a una causa o a un'alterazione patogenetica dimostrabile, la diagnosi di sindrome del colon irritabile deve basarsi unicamente sui sintomi.

Elementi indicativi sono soprattutto il carattere altalenante e ricorrente del dolore e delle variazioni del funzionamento intestinale.

Va considerato anche il fatto che il funzionamento intestinale può variare parecchio, con prevalenza di diarrea, di stitichezza oppure con alternanza delle due opposte alterazioni.
Infine c’è la frequente correlazione tra l'intensità dei disturbi addominali e le fasi di svuotamento dell'intestino.

A oggi, i criteri utilizzati per diagnosticarla sono stabiliti dalla versione più recente della Classificazione di Roma, un documento di consenso stilato da un gruppo internazionale di medici e dedicata alla definizione dei disturbi funzionali del tratto gastroenterico.

In base a tali criteri si sospetta la sindrome del colon irritabile in presenza di:

  • dolore e/o fastidio (inteso come qualsiasi sensazione disturbante diversa dal dolore) addominali, insorti da almeno sei mesi e ricorrenti per almeno tre giorni al mese negli ultimi tre mesi,
  • attenuazione dei sintomi in concomitanza con la defecazione,
  • insorgenza dei sintomi in combinazione con aumento o diminuzione della frequenza delle evacuazioni,
  • insorgenza dei sintomi in associazione con una modificazione dell'aspetto (forma e consistenza) delle feci.

Così eviti di “irritarlo”

Dieta e stress sono fattori importanti nella sindrome dell’intestino irritabile.

Pasti sovrabbondanti oppure specifici cibi, così come affaticamento, preoccupazioni e situazioni conflittuali possono innescare o peggiorare il disturbo.

Anche se resta ignoto il motivo per cui in alcuni individui l'intestino è abnormemente sensibile nei confronti di determinati stimoli, imparare a riconoscere quali sono quelli che possono avere un effetto negativo rappresenta la prima tappa della cura.

A tale scopo può essere utile annotare per qualche settimana in un diario giornaliero la frequenza, la durata e la gravità dei sintomi insieme con gli eventi accaduti, le attività svolte e i cibi e le bevande consumati poco prima della loro insorgenza.

Una volta identificati i fattori di rischio, mettere in atto le strategie più adatte per ridurne il più possibile l'impatto: contrastare lo stress con tecniche di rilassamento, svolgere regolarmente attività fisica, evitare pasti troppo abbondanti, eliminare dalla dieta gli alimenti che si sono dimostrati controproducenti.

Per quanto riguarda i provvedimenti dietetici, sebbene rispetto ai singoli cibi vi sia una diversa suscettibilità individuale, è buona regola generale limitare soprattutto il consumo di alimenti che tendono a provocare la formazione di gas all'interno dell'intestino, evitare l'assunzione di caffeina, di dolcificanti e di bevande gassate, nonché ridurre l'apporto di grassi animali.

Il consumo di fibre – sotto forma di alimenti che ne sono ricchi oppure di integratori – può essere vantaggioso per alcuni (in genere nei casi con prevalenza di stitichezza) e controindicato per altri (in genere nei casi con prevalenza di diarrea).

Quindi, prima di fare scelte di questo tipo è bene sentire il proprio medico di famiglia.

Se gli interventi sulla dieta e sullo stile di vita non sono sufficienti, i sintomi possono essere attenuati da alcuni estratti vegetali (menta piperita, finocchio, anice, cumino, melissa) o controllati con specifici farmaci.

Per individuare la terapia giusta è sempre essenziale rivolgersi al medico, e soprattutto non sperimentare indiscriminatamente lassativi o medicinali attivi sulla motilità intestinale, che possono giovare ma anche avere effetti collaterali importanti.

Gli alimenti che, in ogni caso, sarebbe meglio evitare sono:

  • Latte e derivati
  • Legumi (fagioli, piselli, ceci, lenticchie, fagiolini)
  • Alcuni ortaggi: cavoli, carciofi, spinaci, cipolle, sedano, rapa, carote
  • Alcuni frutti: pesche, pere, prugne, uva passa, banane, albicocche, prugne, cachi, fichi, castagne, ciliege
  • Marmellate
  • Bevande gassate
  • Caffè, the e bibite contenenti caffeina
  • Dolcificanti (sorbitolo, fruttosio)
  • Cereali integrali e alimenti ricchi di fibre nelle forme con diarrea prevalente.

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