Io e Sally - Covid-19


Senso di spossatezza, necessità di dormire anche durante il giorno, mancanza di energia per svolgere il normale esercizio fisico. Si tratta della fatica cronica da long COVID. Con il termine long COVID si indica una serie di segni (alterazioni osservabili con un esame medico) e sintomi che continuano a manifestarsi, saltuariamente o in modo continuativo, anche dopo la guarigione dall’infezione acuta da Sars-Cov-2.
Tra i disturbi osservati più di frequente, vi è proprio la sensazione di spossatezza, che somiglia per alcune caratteristiche alla sindrome da stanchezza cronica che si presenta anche in seguito ad altre infezioni, come la mononucleosi, o all’incontro con virus molto pericolosi, tra cui Ebola o Chikungunya.
La stanchezza da long COVID può avere un grosso impatto sulla vita di chi ne soffre perché, nei casi peggiori, limita lo svolgimento delle normali attività quotidiane con ricadute anche a livello psicologico, come ansia o depressione.
Al momento, non sono note le cause che determinano il manifestarsi di questo disturbo, ma è possibile che il senso di spossatezza sia una conseguenza dei problemi respiratori associati all’infezione da Sars-Cov-2.
Rinunciare per lunghi periodi all’esercizio fisico in generale non è una buona idea ma, nel caso del long COVID, fare sport quando i sintomi sono ancora presenti rischia di essere controproducente e peggiorare la stanchezza. È quindi importante riprendere l’esercizio in modo graduale, senza sforzarsi troppo e seguendo i consigli del proprio medico e di un trainer professionista.
Parlando di attività fisica in senso lato e facendo riferimento anche ai compiti della vita quotidiana, come per esempio pulire casa o cucinare, alcuni esperti suggeriscono, per chi soffre da fatica cronica da long COVID, un approccio basato sul metodo delle 3P:
Dopo la guarigione dal COVID-19 è importante monitorare con attenzione il proprio stato di salute. In caso di sintomi come stanchezza prolungata o altri disturbi associati con la presenza di long COVID, per prima cosa è necessario consultare il proprio medico e valutare insieme quale strategia diagnostica e terapeutica applicare alle esigenze individuali di ognuno.
Che l’infezione da Sars-Cov-2 sia associata all’aumento di problematiche cardiovascolari, non è una novità.
Il COVID-19 nella fase acuta dell’infezione, infatti, è correlato a un rischio di contrarre disturbi cardiovascolari, come infarto miocardico, insufficienza cardiaca o ictus, quattro volte superiore rispetto alle persone sane.
Quello che sta emergendo è che il rischio cardiovascolare si mantiene alto anche dopo la guarigione.
Si parla infatti di long COVID, ovvero di una serie molto variegata di disturbi e problematiche, tra cui fatica cronica, difficoltà cognitive e/o respiratorie, che persistono anche diverso tempo dopo essere guariti dall’infezione, da 4 settimane a 1 anno.
Alcuni studi sull’argomento mostrano che il cuore non è esente da conseguenze in chi è stato colpito da COVID-19: l’infezione espone a un rischio del 50% superiore di avere disturbi cardiovascolari, rispetto a chi non è stato infettato dal virus. Tale rischio si mantiene elevato fino a un anno dopo la guarigione.
Secondo altri studi, la tachicardia, ovvero l’aumento della frequenza cardiaca, si manifesta con maggiore frequenza in persone con i sintomi del long COVID.
Non è ancora chiaro il meccanismo con cui l’infezione da Sars-Cov-2 determini questi disturbi: probabilmente si tratta da una parte dell’azione diretta del virus sugli organi del sistema cardiovascolare e dall’altra da una serie di alterazioni provocate all’organismo nel suo insieme.
Un altro ricordo decisamente brutto che può essere associato al COVID-19 sono alterazioni del metabolismo e del controllo glicemico. In particolare, l’insorgenza di diabete sembra aumentare nei soggetti colpiti dal virus, anche in coloro che sono guariti dall’infezione. Alcuni specialisti parlano addirittura di una nuova epidemia di diabete, visto l’aumento di casi riscontrati tra coloro che soffrono di long COVID.
Sembra che il virus Sars-Cov-2 sia in grado di provocare alterazioni nella gestione della glicemia, ovvero del contenuto di zuccheri presenti nel sangue.
In molti casi, infatti, le persone affette da COVID-19 mostrano un elevato tasso glicemico.
Anche in questo caso, come per le malattie cardiovascolari, non siamo a conoscenza del meccanismo preciso con cui il virus determina il manifestarsi del diabete.
I ricercatori suppongono che ci siano diverse alterazioni a livello metabolico e cellulare che, sommate tra loro, provocano questo disturbo.
Inoltre, non è ancora chiaro se il diabete di nuova diagnosi che si manifesta in seguito all’infezione da Sars-Cov-2 sia permanente o transitorio, perché attualmente non sono disponibili studi a lungo termine su questa problematica.
Alla luce di quanto abbiamo visto, è fondamentale tenere sotto controllo la propria salute, anche dopo essere guariti dal COVID-19. In caso di sintomi che possono essere associati alla presenza di long COVID, la scelta da fare è quella di recarsi dal proprio medico per verificare insieme la situazione.
In questo modo sarà possibile svolgere tutti i necessari accertamenti, per proteggere il proprio benessere e quello delle proprie famiglie.
Secondo le principali istituzioni sanitarie, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si parla di long COVID quando segni (alterazioni rilevabili con un esame medico) e sintomi causati dall’infezione da SARS-CoV-2 continuano o si sviluppano dopo 4 settimane dall’infezione acuta.
Se da una parte la patologia acuta da COVID-19 risulta ormai ben caratterizzata, ad oggi sono ancora in corso diversi studi per fare chiarezza riguardo al long COVID. L’OMS spiega che sono oltre 200 i sintomi descritti per questa patologia, ma non tutti si manifestano con lo stesso grado di frequenza o gravità.
Il rischio di sviluppare disturbi legati al long COVID e il peso di questa condizione sono alti anche in pazienti che non hanno avuto una malattia acuta tanto grave da richiedere il ricovero ospedaliero. Il rischio di avere il long COVID, tuttavia, aumenta con l’aumentare della gravità dei sintomi osservati durante la fase acuta.
Secondo alcuni studi, è la stanchezza o spossatezza il sintomo più frequente lamentato da chi soffre di long COVID. Il livello di spossatezza può essere tale da non permettere al soggetto di uscire di casa anche per periodi molto lunghi.
Gli altri disturbi maggiormente diffusi sono:
Esistono purtroppo anche sintomi più gravi, associati al long COVID, per fortuna meno frequenti.
Tra questi, vi sono i disturbi cardiovascolari, come insufficienza cardiaca, ictus, infarto, arresto cardiaco e altre patologie.
Le persone affette da long COVID hanno un rischio del 50% superiore rispetto agli individui sani di sviluppare problemi a livello dell’apparato cardiovascolare.
Alcuni studi clinici mostrano inoltre che questi disturbi possono manifestarsi anche in individui sani, tra cui per esempio atleti professionisti, o in persone che hanno manifestato un’infezione acuta da COVID-19 con sintomi lievi.
Infine, altri sintomi gravi e potenzialmente letali legati alla presenza di long COVID sono quelli a carico del sistema renale e del sistema endocrino.
Alcuni studi mostrano infatti che chi soffre di long COVID è esposto a un rischio superiore di sviluppare insufficienza renale o diabete. Rischio che aumenta tanto più l’infezione acuta è stata grave.
Tutte queste evidenze mostrano che è fondamentale tenere sotto controllo le proprie condizioni di salute anche dopo essere guariti dalla sindrome acuta causata dall’infezione con il virus Cov-Sars-2, per almeno un anno. Un’attenzione particolare deve essere riservata a tutto quello che riguarda l’apparato cardiovascolare e renale e il controllo glicemico.
In caso di sintomi che possono essere associati alla presenza di long COVID, la prima e più importante mossa da fare è recarsi subito dal proprio medico curante, per una prima valutazione della situazione. In questo modo, sarà possibile decidere quale strada seguire e proteggere la propria salute e quella dei propri cari.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne soffre dal 10% al 20% delle persone colpite da infezione da COVID-19: tra il 2020 e il 2021, si parla di circa 17 milioni di persone.
È il long COVID, che l’OMS e le principali istituzioni sanitarie mondiali definiscono come una condizione caratterizzata dalla presenza di segni e sintomi causati dall’infezione da SARS-CoV-2 che continuano o si sviluppano dopo 4 settimane dall’infezione acuta.
In particolare, il long COVID può essere distinto in due tipologie:
Più di 100 sintomi sono stati descritti per il long COVID; tra i più frequenti ci sono:
In generale, si tratta di disturbi che possono manifestarsi durante l’infezione acuta da COVID, oppure diverse settimane dopo. L’andamento dei sintomi spesso è fluttuante: compaiono e vanno incontro ad apparente risoluzione, per poi ripresentarsi a distanza di tempo. Il primo a descrivere questa condizione è stato un infettivologo inglese che l’ha sperimentata di persona, commentando che era “come sentirsi sulle montagne russe”.
Nonostante quello che si potrebbe pensare, il long COVID può colpire tutte le persone precedentemente affette da COVID-19, indipendentemente dalla gravità della malattia in fase acuta.
Diversi studi sono stati realizzati con lo scopo di valutare la presenza di sintomi nelle persone affette da long COVID e l’impatto che questi possono avere sulla vita individuale e sulla società.
Giorni di lavoro persi, visite mediche e in alcuni casi accessi in ospedale rappresentano un fardello considerevole, sia a livello sociale che sanitario. Senza contare poi l’impatto psicologico e sulla vita familiare.
Che cosa si può fare, per combattere lo sviluppo del long COVID, con tutte le problematiche connesse?
Uno studio svolto nel Regno Unito su quasi 30.000 persone ha mostrato che la probabilità di andare incontro a questa patologia si riduce in seguito alla vaccinazione contro il COVID-19. Si parla di una riduzione consistente del rischio, dopo la somministrazione della seconda dose.
Sono necessari ulteriori studi per chiarire meglio l’effetto della campagna vaccinale, ma alcuni dati raccolti finora sostengono l’ipotesi che il vaccino possa rappresentare un’arma utile contro la comparsa di long COVID. Per sostenere i cittadini affetti colpiti da COVID-19 e che potrebbero sviluppare, o hanno già accusato, i sintomi da long COVID possono inoltre essere messe in atto altre azioni.
Un esempio virtuoso è la Germania, che ha recentemente varato un vero e proprio piano d’azione, con l’obiettivo finale di migliorare l'assistenza ai pazienti che apparentemente sono guariti dall'infezione da Sars-CoV-2, ma ancora ne portano i segni. Il piano prevede l'apertura di uno sportello telefonico per assistere i pazienti e un programma di investimenti mirato a finanziare gli studi sulla sindrome post-virus.
Una task force di ricercatori della KU Leuven, un'università belga, ha redatto nel 2022 delle linee guida per aiutare gli operatori sanitari a trattare i pazienti con long COVID. Nel luglio 2022, è stato lanciato un progetto pilota di percorso assistenziale per i pazienti con sintomi presenti da 12 settimane o più dopo la diagnosi di infezione da Sars-Cov-2 o dopo l'insorgenza dei primi disturbi.
Le istituzioni sanitarie di tutto il mondo stanno lavorando per garantire la migliore assistenza possibile a chi soffre di long COVID, con la speranza di ridurre il peso sociale ed economico di questa condizione.
In caso di sintomi associati all’infezione da Sars-Cov-2, sia acuti, che persistenti, la prima cosa da fare è consultare il proprio medico di base, che saprà consigliare la strategia più adatta alle esigenze di ogni singolo paziente.
Anche se vi siete sottoposti al vaccino anti Covid-19 esiste la possibilità che possiate contrarre l’infezione da questo virus.
Ma questo non significa che il vaccino sia inefficace. Il ruolo della vaccinazione è quello di “insegnare” al nostro organismo a riconoscere rapidamente il virus e a mettere in atto i meccanismi di difesa indispensabili per combatterlo. Nel caso dei vaccini anti Covid-19, questo significa che rimane una probabilità di contrarre la malattia, ma in forma decisamente più lieve. Quindi, è possibile sviluppare alcuni dei sintomi minori del Covid-19, come febbre, dolore alle ossa o tosse, ma la buona notizia è che il rischio di essere ricoverati o di finire in terapia intensiva per le persone vaccinate è molto più basso rispetto a quello a cui andrebbero incontro se entrassero in contatto con il virus senza prima aver ricevuto il vaccino.
Il rischio si abbassa ancora di più dopo aver effettuato la dose booster (la famosa “terza dose”), e la protezione dei vaccini rimane anche con le varianti più recenti, inclusa la Omicron.
Ma quali sono i sintomi a cui prestare attenzione? E come fare a capire se si tratta davvero di Covid-19, oppure di altri virus tipici del periodo invernale, come quello dell’influenza?
L’infezione da Covid-19 provoca la comparsa di sintomi che, in molti casi, possono essere simili a quelli dell’influenza. Entrambi i virus, infatti, possono generare:
Le principali differenze tra infezione da Covid-19 e influenza sono elencate qui sotto:
Covid-19:
Influenza:
Un’altra differenza tra Covid-19 e influenza è che il primo si diffonde molto più rapidamente.
Anche se tra i due virus esistono delle differenze osservabili in termini di sintomi, l’unico modo sicuro per distinguerli è sottoporvi a un tampone naso-faringeo molecolare. Il vaccino antinfluenzale aiuta nella diagnosi differenziale: chi, vaccinato contro l’influenza, sviluppa i sintomi sopra descritti, ha con alta probabilità Covid-19, ma è solo con un tampone che si avrà la risposta definitiva.
Ricordatevi che è fondamentale rivolgervi sempre prima al vostro medico ed evitare il fai-da-te, che in questi casi può portare a conseguenze molto gravi.
Se il tampone molecolare conferma la presenza di infezione da Covid-19, il vostro medico vi indicherà la strada terapeutica da seguire. Fortunatamente, se siete vaccinati la malattia sarà molto più facilmente gestibile rispetto a quanto accade nelle persone che non si sono sottoposte alla vaccinazione.
Se il tampone molecolare risulta negativo, è molto probabile che i vostri sintomi siano dovuti a influenza o altri virus tipici della stagione fredda.
In ogni caso, assicuratevi di avere sempre a disposizione farmaci per la gestione dei sintomi più frequenti, come febbre, mal di testa, dolori muscolari, tosse (e seguite le indicazioni del medico su come usarli).
Che si tratti di influenza o di Covid-19, anche il riposo e l’idratazione regolare sono di aiuto.
Con un’ultima precisazione importante: anche se l’influenza può sembrarvi una malattia “banale”, ricordate di non prenderla sottogamba e di seguire i consigli del vostro medico o farmacista di fiducia, che vi indicheranno il modo più efficace di gestire i sintomi e aiutarvi a superare il malessere.
Da millenni gli esseri umani convivono con virus e batteri, e non sempre i rapporti sono stati buoni. Vi sono stati casi in cui epidemie hanno assunto proporzioni continentali o globali, lasciando un segno indelebile anche nell’arte (pensate al Decamerone del Boccaccio, ai capitoli che il Manzoni dedica alla peste di Milano nei Promessi Sposi o alle raffigurazioni di San Rocco, santo protettore degli appestati, frequenti nelle nostre Chiese), nella lingua e nelle tradizioni.
È il caso della peste, che nel XIV secolo sconvolse l’Europa intera e lo fece a più riprese nei secoli successivi. Fu proprio durante questo periodo che, per la prima volta, vennero coniati termini che ancora oggi conosciamo e utilizziamo:
All’inizio del ‘900, invece, fu l’influenza a diffondersi con insolita violenza, causando la pandemia nota con il nome di Influenza Spagnola. Rispetto alle altre influenze, la Spagnola era caratterizzata da una notevole mortalità. Questo era probabilmente dovuto anche alla sua esplosione in contemporanea alle ultime fasi della Grande Guerra, con ampie fette della popolazione allo stremo per le privazioni provocate dal conflitto.
Il nome lo prese dalla nazione dove per prima ne venne segnalata la presenza, anche se con tutta probabilità era già diffusa in altre nazioni europee. Ma la Spagna in quegli anni non era in guerra, e la notizia di un’epidemia di influenza associata ad anomala mortalità poteva essere diffusa con più libertà.
Armi importanti per combattere l’epidemia di Spagnola furono i farmaci antipiretici, le cui prime molecole erano state sintetizzate alcuni decenni prima (fenacetina, sintetizzata nel 1889 e oggi in disuso; acido acetilsalicilico, sintetizzato nel 1899 e ancora oggi impiegato). Gli antipiretici permettevano di abbassare la febbre, fino a quel momento un sintomo problematico da gestire.
Nella storia, le epidemie compaiono e si spengono, per poi ricomparire a distanza di anni o secoli. In passato, quando non esistevano i vaccini, la ciclicità con cui si presentavano epidemie come quelle di peste era dovuta alla perdita di immunità nella popolazione (le nuove generazioni non avevano l’immunità che le vecchie generazioni avevano acquisito dall’epidemia precedente, e diventavano più suscettibili a un nuovo contagio). Oggigiorno, le nuove pandemie sono dovute in parte all’emergenza di nuovi virus, come il SARS-CoV-2, che generano malattie mai viste prima (Covid-19), e in parte alla formazione di varianti di virus già conosciuti, che ne aumentano l’aggressività, portando quindi a una ricomparsa di malattie che si credevano sconfitte. In altri casi, patologie che si pensavano quasi scomparse, tornano a colpire, per un calo della copertura vaccinale, come nel caso del morbillo, per il quale si osservano focolai epidemici in diversi paesi occidentali.
Anche dopo essere guariti dall’infezione da Covid-19, e cioè dopo che i tamponi hanno dato esito negativo, in alcuni casi è ancora possibile che permangano alcuni sintomi. Questi potrebbero durare settimane o perfino mesi, nel caso siate ricovero in ospedale. Come gestirli? Fate sempre riferimento al vostro medico, ma qui potete trovare alcuni suggerimenti utili:
Fiato corto.
Si tratta di un sintomo comune e ci sono alcuni piccoli accorgimenti per ridurre il disagio.
Tutte le volte che è possibile, assumi una posizione che ti faciliti la respirazione:
Cerca di respirare lentamente, inspirando con il naso ed espirando con la bocca. Cerca di tenere con la respirazione un rapporto 1:2, ovvero espira per il doppio del tempo che dedichi all’inspirazione.
Per esercitarti a tenere questo rapporto, mettiti in una posizione comoda e fissa un oggetto rettangolare (una finestra, il televisore). Percorri il perimetro con gli occhi: inspira lungo il lato corto ed espira lungo il lato lungo.
Ricordati di arieggiare la stanza in cui ti trovi, per favorire il ricambio d’aria.
Nel caso in cui la mancanza di respiro peggiori, rivolgiti al medico.
Tosse.
In caso di tosse secca, ecco alcuni consigli che ti possono essere utili per ridurre il fastidio:
Spossatezza e debolezza muscolare.
Dopo un ricovero per Covid-19 oppure, in generale, dopo essere guariti da questa malattia, potreste provare un profondo senso di spossatezza.
Potrebbe essere faticoso muoversi per la casa o gestire le solite attività quotidiane. È importante capire quali sono i tuoi livelli di energia e adattarti in modo da non sforzarti troppo.
Un suggerimento? Usa le 4 P:
Mal di testa, dolori muscolari o articolari.
Il dolore può essere un altro sintomo fastidioso che permane dopo la risoluzione dell’infezione da Coronavirus. La buona notizia è che il dolore, sia alla testa che ai muscoli o alle articolazioni, generalmente passano al più dopo qualche settimana. Bisogna armarsi di pazienza e, quando diventano più intensi, ricorrere a un farmaco analgesico.
A prescindere dalla persistenza di alcuni sintomi, dopo un’infezione respiratoria, specie se debilitante, è necessario seguire un’alimentazione che supporti il nostro corpo a rigenerarsi. Quindi, a meno che non esistano controindicazioni specifiche, è utile includere un adeguato quantitativo di proteine nella dieta, che contengono i “materiali da costruzione” che aiutano il nostro corpo ricostruire i tessuti deperiti. A queste vanno aggiunte vitamine e minerali, e una quantità adeguata di fluidi durante tutta la giornata, per evitare il rischio di disidratarsi. Una dieta per la convalescenza dopo un’infezione respiratoria (Covid-19 o influenza), quindi, deve comprendere, ogni giorno:
La ripresa dell’attività fisica.
Riprendere l’attività fisica dopo un’infezione respiratoria è utile anche per stimolare il sistema immunitario a sviluppare anticorpi contro il virus che ha provocato l’infezione. Tuttavia, è importante non strafare e riprendere quando i sintomi si sono completamente risolti, altrimenti il fisico, ancora debilitato, non solo non beneficerebbe dell’attività fisica, ma avrebbe una maggiore probabilità di infortunarsi.
Come regola generale, chiedi consiglio al tuo medico, che conosce la tua situazione specifica e saprà consigliarti sul momento l’attività più adatta alla ripresa.
Ecco alcuni piccoli consigli per la ripresa dell’attività fisica dopo un episodio di Covid-19: