Io e Sally – Immunologia e vaccini

Immunologia e vaccini

Cosa se ne fa
il sistema immunitario
della vitamina C?

Differenze, curiosità e dettagli
di una delle sostanze più importanti
per il nostro organismo.

La vitamina C è importante per il buon funzionamento del sistema immunitario. Si tratta di un concetto che ormai
è noto a tutti.

Ma pochi sanno come mai l’acido ascorbico, altro nome con cui è nota la vitamina C, sia importante per i globuli bianchi.

La Vitamina C è una sostanza antiossidante. Questo significa che è in grado di eliminare i radicali liberi, sostanze nocive che vengono prodotte all’interno delle cellule come una sorta di “materiale di scarto” di alcuni processi metabolici cellulari. I radicali liberi che si accumulano possono, alla lunga, provocare danni anche molto seri. Un aumento
di queste sostanze, infatti, è collegato all’invecchiamento e sembra essere associato ad alcune patologie.

I globuli bianchi, o leucociti, sono cellule che, a causa della loro funzione e attività, si trovano ad accumulare grandi quantità di radicali liberi al loro interno. Li producono anche per attaccare virus e batteri, così da renderli inoffensivi.
La vitamina C ha proprio il ruolo di proteggere queste cellule, aiutandole a difendersi dai radicali liberi prodotti
e quindi supportandole nel mantenersi “in salute”.

I globuli bianchi sono in grado di catturare ed accumulare questa vitamina: al loro interno, infatti, si trova una quantità
di Vitamina C 25-100 volte più alta rispetto a quella presente nel sangue.
Entrando un po’ di più nel dettaglio, scopriamo che, durante un’infezione, i globuli bianchi si attivano per difendere l’organismo. In questa situazione, consumano la vitamina C, che viene utilizzata per supportare la loro funzione difensiva.

Questo significa che, durante l’attacco di un agente patogeno come virus o batteri, il livello di acido ascorbico presente all’interno dei globuli bianchi si riduce e il loro fabbisogno di questa sostanza aumenta.
I globuli bianchi sono una popolazione di cellule che a sua volta si differenzia in vari tipi diversi, in base alla funzione
e alla struttura.

I linfociti T sono una tipologia di globulo bianco che si specializza a riconoscere e neutralizzare specifici virus o batteri.
Il nostro corpo produce linfociti T secondo un delicato meccanismo, che viene chiamato differenziazione: si tratta
di una vera e propria maturazione che porta il globulo bianco “immaturo” a svilupparsi e specializzarsi
contro determinati antigeni (particolari molecole presenti sulla superficie degli agenti patogeni che, come etichette, permettono di identificare uno specifico virus o batterio).

Ma cosa c’entra la vitamina C, in questo caso? È presto detto: l’acido ascorbico è coinvolto nel processo di maturazione dei linfociti T e li supporta nella loro funzione di difesa contro gli attacchi di agenti patogeni.
Un’altra caratteristica interessante e poco conosciuta della vitamina C è quella di favorire la chemiotassi, ovvero
lo spostamento dei globuli bianchi (in questo caso parliamo di un’altra tipologia di cellule, ovvero i neutrofili),
che migrano attraverso l’organismo per raggiungere il luogo dell’infezione e combattere l’agente patogeno
che l’ha causata
.

Alcuni studi hanno mostrato che, in caso di bassi livelli di vitamina C, i neutrofili hanno maggiori difficoltà a raggiungere la zona del corpo dove è necessaria la loro presenza. Questa difficoltà significa una minore capacità dell’organismo
di difenderci da attacchi da virus o batteri.

La vitamina C è importante quindi per il benessere del nostro corpo e per il corretto funzionamento del sistema immunitario, sostenendo in particolare l’attività di alcune specifiche cellule difensive.
Assumere una giusta quantità di questa sostanza con la dieta o attraverso integratori alimentari può aiutarci
a migliorare la salute del nostro sistema immunitario e del nostro intero organismo
.

Fonti:

Quando la memoria
è questione di cellule
immunitarie.

L’organismo “impara” come il nostro cervello.

Quando pensiamo alla memoria, la prima cosa che ci viene in mente è la capacità del nostro cervello di imparare nomi, date, nozioni e permetterci di riportarli alla nostra attenzione in caso di bisogno.
Non tutti sanno, però, che nel nostro organismo esiste anche un altro tipo di memoria: quella immunologica.
La memoria immunologica è la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere un agente biologico (virus, batterio o altro) dopo un precedente incontro e di attivare i meccanismi cellulari necessari per difendere l’organismo.
Responsabili della memoria immunologica
sono specifiche cellule chiamate linfociti B memoria, globuli bianchi che, dopo un primo incontro con l’agente patogeno o con parti di esso (sia in caso di infezione, sia grazie a un vaccino), lo “memorizzano” e possono attivare una risposta immunitaria efficace, in caso di un secondo incontro con lo stesso patogeno.
I vaccini agiscono proprio inducendo la memoria immunologica, senza però esporre il corpo a una vera e propria infezione.

Ma per quanto può durare questo tipo di memoria, e quindi la protezione indotta da un vaccino?
Può succedere che il nostro sistema immunitario dimentichi?

Esistono tre ragioni principali per cui l’organismo può perdere la propria memoria immunologica relativa a uno o più agenti patogeni:

  • La memoria può svanire nel tempo. Come accade per i ricordi, alcuni tendono a essere dimenticati.
  • Non tutti ricordiamo le cose con la stessa efficienza. Alcuni hanno molta più difficoltà di altri a imparare a memoria qualcosa.
  • Alcuni agenti patogeni riescono a ingannare la memoria immunologica.

Tutti i vaccini utilizzati negli attuali programmi di vaccinazione pediatrica inducono la memoria immunologica, con vari gradi di efficacia.

In particolare, come avviene per la memoria insita nel nostro cervello, anche quella immunologica si deteriora con l’invecchiamento: le cellule memoria, con il tempo, diventano meno reattive e meno efficaci nel riconoscere patogeni già incontrati. Si tratta di un fenomeno noto con il nome di immuno-senescenza ed è il motivo per cui le persone anziane sono considerate più fragili di fronte alle infezioni e meno reattive ai vaccini.
Vi sono inoltre alcune persone, non necessariamente anziane, che hanno una “cattiva” memoria immunologica per varie ragioni, tra cui per esempio patologie del sistema immunitario o utilizzo di farmaci che ne riducano l’efficacia, come nel caso dei pazienti sottoposti a trapianto.

Un altro fattore che influenza la durata della memoria immunologica è la tipologia di agente patogeno coinvolto.
Sia virus che batteri possono infatti andare incontro a mutazioni, ovvero cambiamenti nel loro patrimonio genetico e nella loro struttura, che possono renderli capaci di “bucare” il muro di protezione della memoria immunologica. Se un agente patogeno subisce delle mutazioni importanti, il cambiamento è così grande che di fatto il nostro organismo si trova davanti a un virus molto diverso da quello che aveva imparato a riconoscere, durante un’infezione spontanea o tramite una vaccinazione.

In questo caso, la memoria immunologica è obsoleta e non permette al corpo umano di identificare il patogeno in tempo per attivare efficacemente una risposta immunitaria rapida.

È quanto si verifica, per esempio, nel caso dell’influenza: si tratta di un virus ad alto tasso di mutazione e che riesce quindi facilmente a “bucare” le difese erette grazie al vaccino. Ecco perché è indispensabile sottoporsi a un richiamo ogni anno, con l’avvio di una nuova stagione influenzale. Il richiamo è una specie di “corso di aggiornamento” per il nostro sistema immunitario!

Oltre a vaccino contro Covid-19 e influenza, ve ne sono altri che necessitano di periodici richiami. Esistono invece vaccini che, una volta somministrati, conferiscono immunità a quella patologia per tutta la vita (immunità che però, in età avanzata, può comunque diminuire).

Cosa sono i richiami? Potremmo vederli come “ripassi”, che servono al nostro organismo per rinfrescare la propria memoria immunologica e aggiornare le sue conoscenze su alcuni agenti patogeni.

I richiami sono indispensabili in particolare quando si tratta di malattie il cui periodo d’incubazione è piuttosto breve, come la difterite (2-5 giorni) ed il tetano (in media 10 giorni). Vi sono altre patologie, come l’epatite B, per cui non è necessario un richiamo dopo la prima somministrazione del vaccino. Anche nei casi in cui nell’organismo non siano più presenti anticorpi protettivi, il lungo periodo d’incubazione (di solito 45-180 giorni) garantisce ai linfociti memoria il tempo sufficiente per attivarsi, producendo quindi gli anticorpi in grado di distruggere il virus.

La memoria immunologica e i suoi meccanismi rappresentano un campo di studi ancora in forte espansione e, in futuro, è possibile che emergano nuove scoperte, in grado di aiutarci a combattere contro le malattie infettive, per difenderci da possibili nuove pandemie.

Fonti:

Vaccini:
contro l’influenza

o contro il COVID?

Con l’arrivo dei primi freddi, si presentano anche i primi malanni stagionali, come raffreddore e influenza. Anche se la stagione influenzale vera e propria si presenta più avanti nel corso dell’anno, è importante cominciare a prendere le prime precauzioni per difenderci.

Prima tra tutte, il vaccino anti-influenzale, consigliabile a tutti e raccomandato nei soggetti fragili e nelle persone dai 60 anni in avanti.
Questa precauzione diventa ancora più importante, se consideriamo che, nelle ultime settimane, si è verificato un allentamento delle misure preventive anti-COVID-19. Il lavaggio costante delle mani, l’utilizzo di presidi di protezione individuale come le mascherine e il distanziamento sociale, infatti, sono misure che ci possono proteggere non solo contro questo nuovo virus, ma più in generale riducono la circolazione di diverse malattie infettive stagionali.
Non a caso, nei primi mesi del 2021, l’influenza ha colpito 5 volte di meno, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: questa diminuzione si è verificata proprio grazie all’uso esteso di tutte le abitudini volte a ridurre la circolazione di COVID -19. Se queste abitudini diventano meno frequenti, il vaccino anti-influenzale diventa la misura in grado di compensare e tenere a bada l’influenza anche per la prossima stagione.
Non dimentichiamo che la campagna vaccinale anti-COVID, avviata nei primi mesi del 2021 e ancora in corso, è molto efficace nel prevenire l’infezione e le complicanze del virus SARS-CoV-2, ma non ha effetto sull’infezione da virus influenzali. Quindi, anche un richiamo effettuato di recente o eventuali richiami futuri nei prossimi mesi per migliorare la protezione dal COVID-19 non sono interscambiabili con la vaccinazione anti-influenzale, che rappresenta un vaccino a sé, importante per contenere l’influenza.

In un momento storico in cui la pandemia da COVID-19 non è ancora esaurita, la vaccinazione contro l’influenza svolge anche un altro ruolo fondamentale: offre la possibilità di arrivare a una diagnosi differenziale. In parole semplici, se, dopo esserci vaccinati contro il virus influenzale, sviluppiamo sintomi come febbre, tosse o mal di gola, è più facile pensare che ci si trovi di fronte a un’infezione da COVID-19 e, quindi, prendere subito tutte le misure adatte a prevenire la trasmissione, come l’isolamento e la quarantena. Naturalmente, la diagnosi finale dovrà essere posta solo dopo adeguati accertamenti di laboratorio, come il tampone per la ricerca del virus di COVID-19 nelle vie aeree superiori.
Non mancano quindi i buoni motivi per fare anche il vaccino anti-influenzale nei prossimi mesi.

Un focus
sui vaccini

Ma i vaccini sono davvero sicuri?
Possiamo fidarci?
Ascoltiamo Sally e i suoi consigli,
per capire meglio come funzionano.

Il concetto alla base di tutte le vaccinazioni è quello di dare alle cellule dell’organismo gli strumenti per riconoscere un virus e combatterlo, ma senza esporre l’organismo alla malattia vera e propria.
In particolare, i vaccini contro Covid-19 portano il nostro organismo a riconoscere una delle proteine che il virus espone sulla sua superficie, la proteina SPIKE. In questo modo, una volta che il virus entra nel nostro organismo gli anticorpi riconoscono la proteina e rendono inattivo il virus.
Il sistema immunitario, grazie ad alcune cellule, i linfociti T della memoria, riesce a ricordarsi come produrre anticorpi in risposta al virus per un lungo periodo di tempo, anche se la durata di questa memoria può variare da vaccino a vaccino.
Alcuni vaccini, infatti, ci forniscono una protezione che dura per tutta la vita, come per esempio quello contro il morbillo o l’epatite B, mentre altri ci forniscono protezione per un periodo limitato, come il vaccino antitetanico, che ci protegge per circa 10 anni.

Per valutare l’efficacia e la sicurezza di un vaccino, vengono messi a punto studi clinici, che durano diversi mesi e che permettono di esaminare la reazione dell’organismo e l’eventuale comparsa di effetti collaterali.
Quando si dice che un vaccino è efficace nel 92% dei casi, ad esempio, significa che il 92% delle persone vaccinate non si sono ammalate e risultano quindi protette dall’infezione.
Normalmente, i tempi per la produzione di un vaccino efficace sono piuttosto lunghi. Nel caso del vaccino anti-Covid-19 questi tempi sono stati accelerati grazie alla grande disponibilità di finanziamenti dedicati e alla presenza di moltissimi volontari che si sono offerti per la sperimentazione.
Tuttavia, la valutazione di efficacia e sicurezza di un vaccino (ma vale per tutti i farmaci) continua anche mentre questo viene distribuito alla popolazione. Lo si può fare con studi aggiuntivi e, in particolar modo per meglio comprendere quanto è sicuro un vaccino, con il costante monitoraggio delle reazioni avverse (gli “effetti collaterali”) che si manifestano. L’analisi delle reazioni avverse permette di avere un quadro della sicurezza più completo di quanto si potrebbe avere con i soli studi clinici, perché la popolazione vaccinata aumenta ogni giorno! Gli aggiornamenti sulla sicurezza che possono verificarsi quindi non devono preoccupare, ma anzi rassicurare che l’attenzione è sempre massima. È un processo che viene applicato a qualunque farmaco e cessa solo quando non viene più commercializzato. Con i vaccini anti-Covid-19 i tempi con cui si prendono decisioni in tema di sicurezza (che normalmente richiedono anche molti mesi) si sono potuti abbreviare a pochi giorni o settimane. Infatti, data la loro importanza, un gran numero di esperti è stato coinvolto e la massima priorità è stata data a questa tematica.

Per aiutare il nostro sistema immunitario a rispondere meglio al vaccino, una buona strategia è quella di praticare attività fisica regolarmente e seguire una dieta sana ed equilibrata, che passa anche attraverso l’assunzione di integratori alimentari o probiotici, utili proprio per stimolare le difese immunitarie.

Come per altri vaccini, la vaccinazione contro il Covid-19 protegge ad oggi solo da questo tipo di virus. Vaccinarsi contro l’influenza stagionale, ad esempio, sarà ancora necessario, pur avendo avuto la possibilità di vaccinarsi contro il Covid-19, proprio a causa della diversa natura dei virus.

Su come i vaccini si comportano con le varianti, non esiste una regola univoca ma ogni variante, anzi, rappresenta un discorso a sé. Sono ad oggi in corso studi sui vaccini sviluppati per capire quanto siano efficaci contro le varianti in circolazione e, ad esempio, se ulteriori richiami ci rendano più protetti da alcune varianti.
Una cosa è certa: quante più persone il virus infetta, tanto maggiori sono le possibilità di sviluppare nuove varianti. Per cui, un’adesione ampia e celere alle campagne vaccinali già in atto è la migliore strategia per contrastare l’affermarsi di nuove varianti in futuro.

Se ho fatto il vaccino posso ammalarmi? Sì, perché nessun vaccino conferisce una protezione al 100%. Per questo è importante continuare a studiare i vaccini dopo la loro approvazione, per capire se ci sono persone che sono più a rischio di altre. O, ancora, se certi soggetti maggiormente a rischio possono beneficiare di un ulteriore richiamo a qualche mese di distanza.
Non dobbiamo però mai scordare le buone notizie: è dimostrato che i vaccini riducono notevolmente il rischio di ammalarsi e che, anche quando ci si ammala, i sintomi sono più lievi (quindi il vaccino ci protegge ancor più dal rischio di contrarre una forma grave di malattia, che è l’obiettivo primario per cui è stato sviluppato).
Questo ci insegna che le misure di distanziamento sociale dovranno rimanere con noi ancora per un po’ di tempo, finché il piano vaccinale non arrivi a completamento. Un contributo importante arriverà anche dalla vaccinazione dei più piccoli, per i quali sono in corso studi, ma è ragionevole attendersi che dovremo aspettare ancora diversi mesi prima che le vaccinazioni sui bambini possano partire.

È vero che le infezioni
frequenti fortificano
il nostro organismo?

Come tenere il sistema immunitario
in buona salute.

È nota come “ipotesi dell’igiene”: si tratta di una teoria secondo cui le persone che durante la loro infanzia vengono esposte a una varietà di microbi (es. virus o batteri) abbiano un sistema immunitario più efficiente nel proteggere dalle infezioni anche durante il resto della vita.

Questo concetto, effettivamente dimostrato da alcuni studi, non si riferisce però, come molti credono erroneamente, all’esposizione ad agenti patogeni presumibilmente presenti in ambienti meno puliti. Ma si tratta più che altro dell’interazione con altri individui e con i patogeni trasportati da altre persone, in particolare a livello di microflora intestinale.

Tuttavia, a partire da questa scoperta, alcuni si sono convinti che esporsi a virus e/o batteri possa rendere più forte il nostro sistema immunitario, un po’ come se si volesse “tenerlo in allenamento”.
Il sistema immunitario, però, non funziona come un muscolo, che deve essere costantemente tenuto in esercizio per dare il meglio, ma più come un archivio, che è tanto più efficiente quanto vaste sono le informazioni conservate al suo interno.

Le “informazioni” del sistema immunitario derivano effettivamente dagli incontri con agenti patogeni, che entrano in contatto con il nostro organismo.
La presenza di un agente patogeno, infatti, innesca la risposta del nostro organismo, che si attiva per eliminare la minaccia.

Quando questo è avvenuto con successo, le cellule del sistema immunitario mettono in atto un meccanismo per “ricordarsi” del patogeno appena sconfitto e conservano in archivio tutte le informazioni utili per riconoscerlo e neutralizzarlo con la produzione di anticorpi specifici, nel caso di un nuovo incontro con lo stesso agente.

Dopo un’infezione, quindi, il sistema immunitario non è più forte in generale contro qualsiasi attacco da parte di patogeni, ma solo contro un agente ben specifico, precedentemente sconfitto.

Più che di forza, si tratta in questo caso di informazioni, a disposizione delle nostre difese immunitarie e quindi del nostro intero organismo.

A volte, inoltre, nemmeno questo è sufficiente.

Esistono infatti diversi virus e batteri che cambiano costantemente le molecole presenti sulla loro superficie, che sono quelle riconosciute dalle cellule immunitarie. È questo il caso, per esempio, dei virus influenzali, che variano di anno in anno, e del Covid-19.

Bastano variazioni anche minime per consentire di “sfuggire” al riconoscimento da parte del sistema immunitario.

La conseguenza?
Ci si può ammalare più volte, anche a causa dello stesso agente patogeno, se questo è sufficientemente cambiato per diventare meno riconoscibile.

Quindi, ogni anno (o quasi) si è a rischio di infezione da virus influenzale e, come ben sappiamo dalla cronaca, ci si può infettare di nuove varianti di Covid-19, anche se abbiamo già contratto il virus in passato.

Se vogliamo tenere il sistema immunitario, e il nostro organismo nel suo complesso, in buona salute, la soluzione non è quella di esporci a più patogeni possibili, anche perché l’incontro con alcuni virus in certe circostanze può essere decisamente pericoloso.

Molto più sicuro ed efficace, invece, è seguire uno stile di vita sano:

  • Mantenere un’ alimentazione equilibrata, povera di grassi e ricca di verdure, che contengono fibre e vitamine utili al buon funzionamento dell’immunità.
  • Svolgere regolare attività fisica.
  • Mantenere un peso non eccessivo.
  • Dormire tra le 7 e le 9 ore per notte
  • Evitare o cercare di ridurre lo stress
  • Vaccinarsi contro i virus che cambiano di frequente (es. influenza, Covid-19), o contro patogeni particolarmente pericolosi (es. tetano, pneumococco dopo i 65 anni), così da avere un sistema immunitario con tutte le informazioni a disposizione ancora prima del contatto con l’agente infettivo.

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