Io e Sally


Se prima eravamo abituati a pensare a influenza e raffreddore come fastidiosi contrattempi, il COVID-19 ci ha fatto capire l’importanza di gestire adeguatamente queste infezioni.
Questo, il punto di partenza di #UnaStagioneDiConsigli: iniziativa Bayer con lo scopo di informare in modo semplice e chiaro sui temi legati all’attualità e alle infezioni respiratorie.
Il Prof. Fabrizio Pregliasco – virologo Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario dell’IRCCS Galeazzi – è il nostro esperto e voce autorevole.
Negli ultimi due anni, la pandemia da Covid-19 ha monopolizzato la nostra attenzione e modificato le nostre abitudini. Il Covid-19, però, non è l’unico virus in circolazione. Nella stagione primaverile, è stato infatti osservato un aumento dei casi di alcune infezioni virali, spesso scambiate per Covid-19.
Nell’ultimo periodo, in particolare, abbiamo assistito alla comparsa di diversi focolai di influenze gastrointestinali. Si tratta, però, di un disturbo provocato non dal virus responsabile della pandemia, ma da un'altra tipologia di agenti patogeni: norovirus o rotavirus.
Un altro virus che si è presentato con maggiore frequenza negli ultimi mesi è quello dell’influenza.
Secondo il rapporto epidemiologico diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), infatti, tra marzo e aprile 2022 il numero di casi di influenza ha registrato un netto aumento.
Il motivo di questa diffusione, sia per quanto riguarda i virus intestinali, sia per l’influenza, è quasi sicuramente dovuto all’allentamento delle restrizioni e a un certo “rilassamento” delle persone nei confronti di alcuni comportamenti che erano stati messi in atto per difendersi dal Covid, ma che di fatto ci proteggono anche dalla maggior parte delle infezioni virali.
Sia i rotavirus che i norovirus possono trasmettersi per via oro-fecale (assunzione di cibo o acqua contaminata), ma anche tramite contatto con una persona infetta, per via aerea o mediante il contatto con superfici contaminate.
Anche il virus influenzale si trasmette principalmente attraverso il respiro e l’inalazione di particelle virali emesse dalle persone contagiate, ma può essere contratto inoltre attraverso il contatto con le superfici.
Le norme per difendersi da queste infezioni, quindi, sono quelle già note contro il Covid:
Il mal di gola è uno dei disturbi più comuni che possono colpire i bambini durante la stagione fredda. Una delle prime mosse da fare è capire quale sia la causa. E, in particolare, se si tratta di infezione virale o batterica. A seconda dell'agente patogeno coinvolto, infatti, le strategie da seguire per aiutare i piccoli saranno diverse. Nella maggior parte dei casi, il mal di gola è provocato dai virus del raffreddore, come i Rhinovirus, oppure dai virus di influenza o parainfluenza. In alternativa, il mal di gola può essere causato da batteri, tra cui lo Streptococco di gruppo B. Non è sempre facile capire se si tratti di infezione batterica o virale, perché i sintomi sono molto simili. Il mal di gola provocato da virus è caratterizzato anche da altre manifestazioni, oltre al dolore alla faringe, come:
Uno strumento che può aiutare il medico nella corretta diagnosi è il test di Centor. Si tratta di un punteggio clinico, che stima la probabilità che il paziente abbia una faringite provocata da Streptococco. In particolare, il test di Centor prevede che venga valutata la presenza di:
La presenza di una delle condizioni dell’elenco fa “guadagnare” un punto. Più aumenta il punteggio, più cresce la probabilità che il bambino sia affetto da mal di gola di origine streptococcica. Il punteggio massimo del test di Centor è 4.
Evoluzione del punteggio Centor è il McIsaac, che tiene conto anche dell’età dei bambini, aggiungendo 1 punto se il bambino ha meno di 14 anni (il punteggio massimo quindi può arrivare a 5).
Queste valutazioni, tuttavia, forniscono solo una probabilità e non una certezza che il mal di gola sia provocato da un batterio, piuttosto che da un virus.
La prova del nove, che il medico potrebbe scegliere in casi dubbi, è il tampone faringeo: eseguibile in un quarto d’ora. Il principio con cui funziona è quello di un test rapido per il COVID-19, ma il tampone viene fatto nella gola. Questa tecnica permette di individuare l’agente patogeno responsabile del disturbo.
Una volta riconosciuto il responsabile del mal di gola, si passa alla terapia.
Nel caso di faringite batterica, la soluzione sono gli antibiotici.
S
e invece si tratta di infezione virale, ecco alcuni consigli per facilitare la guarigione dei piccoli:
Analgesici e antipiretici sono gli strumenti da utilizzare per ridurre il dolore alla gola e la febbre. Ai primi sintomi si può ricorrere anche a soluzioni con ingredienti naturali come spray e sciroppi che creano un film protettivo sulla gola, riducendo il contatto con gli irritanti e alleviando il dolore. Nel caso di dubbi sulla scelta del prodotto più adatto è sempre consigliabile rivolgersi al proprio pediatra o al farmacista di fiducia.
E cosa fare per prevenire?
La prima regola per evitare infezioni, sia batteriche che virali, è senza dubbio quella di lavarsi spesso le mani. Soprattutto se i bambini giocano in compagnia, scambiandosi giocattoli e oggetti vari. Sarebbe meglio, inoltre, evitare il contatto stretto con altri piccoli che hanno raffreddore o mal di gola.
Quando pensiamo alla memoria, la prima cosa che ci viene in mente è la capacità del nostro cervello di imparare nomi, date, nozioni e permetterci di riportarli alla nostra attenzione in caso di bisogno.
Non tutti sanno, però, che nel nostro organismo esiste anche un altro tipo di memoria: quella immunologica.
La memoria immunologica è la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere un agente biologico (virus, batterio o altro) dopo un precedente incontro e di attivare i meccanismi cellulari necessari per difendere l’organismo.
Responsabili della memoria immunologica sono specifiche cellule chiamate linfociti B memoria, globuli bianchi che, dopo un primo incontro con l’agente patogeno o con parti di esso (sia in caso di infezione, sia grazie a un vaccino), lo “memorizzano” e possono attivare una risposta immunitaria efficace, in caso di un secondo incontro con lo stesso patogeno.
I vaccini agiscono proprio inducendo la memoria immunologica, senza però esporre il corpo a una vera e propria infezione.
Ma per quanto può durare questo tipo di memoria, e quindi la protezione indotta da un vaccino?
Può succedere che il nostro sistema immunitario dimentichi?
Esistono tre ragioni principali per cui l’organismo può perdere la propria memoria immunologica relativa a uno o più agenti patogeni:
Tutti i vaccini utilizzati negli attuali programmi di vaccinazione pediatrica inducono la memoria immunologica, con vari gradi di efficacia.
In particolare, come avviene per la memoria insita nel nostro cervello, anche quella immunologica si deteriora con l’invecchiamento: le cellule memoria, con il tempo, diventano meno reattive e meno efficaci nel riconoscere patogeni già incontrati. Si tratta di un fenomeno noto con il nome di immuno-senescenza ed è il motivo per cui le persone anziane sono considerate più fragili di fronte alle infezioni e meno reattive ai vaccini.
Vi sono inoltre alcune persone, non necessariamente anziane, che hanno una “cattiva” memoria immunologica per varie ragioni, tra cui per esempio patologie del sistema immunitario o utilizzo di farmaci che ne riducano l’efficacia, come nel caso dei pazienti sottoposti a trapianto.
Un altro fattore che influenza la durata della memoria immunologica è la tipologia di agente patogeno coinvolto.
Sia virus che batteri possono infatti andare incontro a mutazioni, ovvero cambiamenti nel loro patrimonio genetico e nella loro struttura, che possono renderli capaci di “bucare” il muro di protezione della memoria immunologica. Se un agente patogeno subisce delle mutazioni importanti, il cambiamento è così grande che di fatto il nostro organismo si trova davanti a un virus molto diverso da quello che aveva imparato a riconoscere, durante un’infezione spontanea o tramite una vaccinazione.
In questo caso, la memoria immunologica è obsoleta e non permette al corpo umano di identificare il patogeno in tempo per attivare efficacemente una risposta immunitaria rapida.
È quanto si verifica, per esempio, nel caso dell’influenza: si tratta di un virus ad alto tasso di mutazione e che riesce quindi facilmente a “bucare” le difese erette grazie al vaccino. Ecco perché è indispensabile sottoporsi a un richiamo ogni anno, con l’avvio di una nuova stagione influenzale. Il richiamo è una specie di “corso di aggiornamento” per il nostro sistema immunitario!
Oltre a vaccino contro Covid-19 e influenza, ve ne sono altri che necessitano di periodici richiami. Esistono invece vaccini che, una volta somministrati, conferiscono immunità a quella patologia per tutta la vita (immunità che però, in età avanzata, può comunque diminuire).
Cosa sono i richiami? Potremmo vederli come “ripassi”, che servono al nostro organismo per rinfrescare la propria memoria immunologica e aggiornare le sue conoscenze su alcuni agenti patogeni.
I richiami sono indispensabili in particolare quando si tratta di malattie il cui periodo d’incubazione è piuttosto breve, come la difterite (2-5 giorni) ed il tetano (in media 10 giorni). Vi sono altre patologie, come l’epatite B, per cui non è necessario un richiamo dopo la prima somministrazione del vaccino. Anche nei casi in cui nell’organismo non siano più presenti anticorpi protettivi, il lungo periodo d’incubazione (di solito 45-180 giorni) garantisce ai linfociti memoria il tempo sufficiente per attivarsi, producendo quindi gli anticorpi in grado di distruggere il virus.
La memoria immunologica e i suoi meccanismi rappresentano un campo di studi ancora in forte espansione e, in futuro, è possibile che emergano nuove scoperte, in grado di aiutarci a combattere contro le malattie infettive, per difenderci da possibili nuove pandemie.
Anche se vi siete sottoposti al vaccino anti Covid-19 esiste la possibilità che possiate contrarre l’infezione da questo virus.
Ma questo non significa che il vaccino sia inefficace. Il ruolo della vaccinazione è quello di “insegnare” al nostro organismo a riconoscere rapidamente il virus e a mettere in atto i meccanismi di difesa indispensabili per combatterlo. Nel caso dei vaccini anti Covid-19, questo significa che rimane una probabilità di contrarre la malattia, ma in forma decisamente più lieve. Quindi, è possibile sviluppare alcuni dei sintomi minori del Covid-19, come febbre, dolore alle ossa o tosse, ma la buona notizia è che il rischio di essere ricoverati o di finire in terapia intensiva per le persone vaccinate è molto più basso rispetto a quello a cui andrebbero incontro se entrassero in contatto con il virus senza prima aver ricevuto il vaccino.
Il rischio si abbassa ancora di più dopo aver effettuato la dose booster (la famosa “terza dose”), e la protezione dei vaccini rimane anche con le varianti più recenti, inclusa la Omicron.
Ma quali sono i sintomi a cui prestare attenzione? E come fare a capire se si tratta davvero di Covid-19, oppure di altri virus tipici del periodo invernale, come quello dell’influenza?
L’infezione da Covid-19 provoca la comparsa di sintomi che, in molti casi, possono essere simili a quelli dell’influenza. Entrambi i virus, infatti, possono generare:
Le principali differenze tra infezione da Covid-19 e influenza sono elencate qui sotto:
Covid-19:
Influenza:
Un’altra differenza tra Covid-19 e influenza è che il primo si diffonde molto più rapidamente.
Anche se tra i due virus esistono delle differenze osservabili in termini di sintomi, l’unico modo sicuro per distinguerli è sottoporvi a un tampone naso-faringeo molecolare. Il vaccino antinfluenzale aiuta nella diagnosi differenziale: chi, vaccinato contro l’influenza, sviluppa i sintomi sopra descritti, ha con alta probabilità Covid-19, ma è solo con un tampone che si avrà la risposta definitiva.
Ricordatevi che è fondamentale rivolgervi sempre prima al vostro medico ed evitare il fai-da-te, che in questi casi può portare a conseguenze molto gravi.
Se il tampone molecolare conferma la presenza di infezione da Covid-19, il vostro medico vi indicherà la strada terapeutica da seguire. Fortunatamente, se siete vaccinati la malattia sarà molto più facilmente gestibile rispetto a quanto accade nelle persone che non si sono sottoposte alla vaccinazione.
Se il tampone molecolare risulta negativo, è molto probabile che i vostri sintomi siano dovuti a influenza o altri virus tipici della stagione fredda.
In ogni caso, assicuratevi di avere sempre a disposizione farmaci per la gestione dei sintomi più frequenti, come febbre, mal di testa, dolori muscolari, tosse (e seguite le indicazioni del medico su come usarli).
Che si tratti di influenza o di Covid-19, anche il riposo e l’idratazione regolare sono di aiuto.
Con un’ultima precisazione importante: anche se l’influenza può sembrarvi una malattia “banale”, ricordate di non prenderla sottogamba e di seguire i consigli del vostro medico o farmacista di fiducia, che vi indicheranno il modo più efficace di gestire i sintomi e aiutarvi a superare il malessere.
Quando l'emergenza dovuta alla pandemia da COVID-19 rientrerà, e il virus farà ormai parte della nostra esperienza, potremo dimenticarci i lockdown e le chiusure che tanto hanno influenzato negativamente questi due anni. Tuttavia, cì sono aLcune cose che non dovrebbero finire nel dimenticatoio. In primis le buone pratiche che tutti noi abbiamo messo in atto per combattere la diffusione del COVID-19 e che potrebbero essere portate avanti come forma di buone abitudini a fine preventivo contro le infezioni da virus respiratori. Tra i comportamenti che sarebbe meglio portare con noi anche ad emergenza finita, vi sono:
Febbre: quando si presenta, la maggior parte di noi lo percepisce come un sintomo dannoso, da eliminare. Tuttavia, la febbre ha una sua funzione e non sempre deve essere combattuta. La normale temperatura del corpo umano si aggira tra i 36°C e i 37°C. Quando questi valori vengono superati, si parla di febbre. Quando il nostro organismo entra in contatto con un agente patogeno, che può essere un virus o un batterio, viene attivata la risposta immunitaria, che ha lo scopo di difenderci dall’infezione. Durante questo “combattimento” tra il corpo e l’agente infettivo, si verifica tutta una serie di reazioni cellulari e molecolari, tra cui l’attivazione dei globuli bianchi e la produzione di anticorpi. Durante la risposta immunitaria, vengono liberate alcune sostanze che determinano un aumento della temperatura corporea (la febbre, per l’appunto) e che favoriscono l’azione del sistema immunitario. Inoltre, una temperatura superiore di per sé stessa mette in difficoltà la sopravvivenza degli agenti infettivi. In poche parole, quindi, la febbre aiuta le nostre difese nel combattere contro virus e batteri. E allora, perché cercare di farla scendere? In quanto risposta naturale del nostro organismo alle infezioni, non sempre è necessario agire per ridurre la febbre, che in ogni caso tende a sparire entro pochi giorni. La cosa migliore da fare è cercare di ridurla, ma senza eliminare del tutto il sintomo. Far sparire completamente la febbre ci esporrebbe al rischio di complicazione relative all’infezione da cui siamo stati colpiti. Vi sono però casi in cui è buona norma cercare di farla scendere, come per esempio quando sale oltre i 39°C o 40°C, o quando si protrae per più di 2 o 3 giorni. Oppure, nel caso di bambini piccoli, donne in gravidanza o individui fragili. Alcuni suggerimenti da mettere in atto in caso di febbre sono:
Gli stessi suggerimenti valgono anche per i bambini. In aggiunta, ricordate di:
Un altro strumento contro la febbre sono i farmaci da banco, per esempio a base di acido acetilsalicilico, naprossene o ibuprofene, che hanno una specifica azione antipiretica. Importante, in queste situazioni, è scegliere il prodotto adatto, facendovi consigliare dal vostro medico o dal farmacista:
Con l’arrivo dei primi freddi, si presentano anche i primi malanni stagionali, come raffreddore e influenza. Anche se la stagione influenzale vera e propria si presenta più avanti nel corso dell’anno, è importante cominciare a prendere le prime precauzioni per difenderci.
Prima tra tutte, il vaccino anti-influenzale, consigliabile a tutti e raccomandato nei soggetti fragili e nelle persone dai 60 anni in avanti. Questa precauzione diventa ancora più importante, se consideriamo che, nelle ultime settimane, si è verificato un allentamento delle misure preventive anti-COVID-19. Il lavaggio costante delle mani, l’utilizzo di presidi di protezione individuale come le mascherine e il distanziamento sociale, infatti, sono misure che ci possono proteggere non solo contro questo nuovo virus, ma più in generale riducono la circolazione di diverse malattie infettive stagionali. Non a caso, nei primi mesi del 2021, l’influenza ha colpito 5 volte di meno, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: questa diminuzione si è verificata proprio grazie all’uso esteso di tutte le abitudini volte a ridurre la circolazione di COVID -19. Se queste abitudini diventano meno frequenti, il vaccino anti-influenzale diventa la misura in grado di compensare e tenere a bada l’influenza anche per la prossima stagione. Non dimentichiamo che la campagna vaccinale anti-COVID, avviata nei primi mesi del 2021 e ancora in corso, è molto efficace nel prevenire l’infezione e le complicanze del virus SARS-CoV-2, ma non ha effetto sull’infezione da virus influenzali. Quindi, anche un richiamo effettuato di recente o eventuali richiami futuri nei prossimi mesi per migliorare la protezione dal COVID-19 non sono interscambiabili con la vaccinazione anti-influenzale, che rappresenta un vaccino a sé, importante per contenere l’influenza.
In un momento storico in cui la pandemia da COVID-19 non è ancora esaurita, la vaccinazione contro l’influenza svolge anche un altro ruolo fondamentale: offre la possibilità di arrivare a una diagnosi differenziale. In parole semplici, se, dopo esserci vaccinati contro il virus influenzale, sviluppiamo sintomi come febbre, tosse o mal di gola, è più facile pensare che ci si trovi di fronte a un’infezione da COVID-19 e, quindi, prendere subito tutte le misure adatte a prevenire la trasmissione, come l’isolamento e la quarantena. Naturalmente, la diagnosi finale dovrà essere posta solo dopo adeguati accertamenti di laboratorio, come il tampone per la ricerca del virus di COVID-19 nelle vie aeree superiori. Non mancano quindi i buoni motivi per fare anche il vaccino anti-influenzale nei prossimi mesi.
Le vacanze fanno bene all’umore, e non solo. Durante il periodo di pausa dal lavoro, infatti, ci si prende maggiormente cura di sé stessi, sia dal punto di vista psicologico, che fisico. Il rovescio della medaglia, tuttavia, è che durante le vacanze a volte ci si lascia andare ad abitudini meno sane e che mettono potenzialmente a rischio la nostra salute. Per esempio, alcuni tendono ad avere una minore attenzione a mantenere precauzioni indispensabili come il giusto distanziamento sociale, l’evitare assembramenti e contatti troppo stretti con molte persone. Inoltre, a volte in vacanza ci si concede qualche sgarro alimentare, provando cibi insoliti e prestando meno attenzione alle norme igieniche. Questi sono sicuramente comportamenti da non portare con noi al rientro: ricordiamoci che le malattie non vanno in vacanza!
Ma quali sono invece le buone abitudini da portare avanti anche a vacanze finite? Ecco alcuni esempi:
Al rientro dalle vacanze, sarebbe utile cercare di conservare il più possibile queste buone abitudini, soprattutto perché l’autunno si avvicina, e con esso i primi raffreddori e malanni stagionali. In particolare, un’alimentazione adeguata, ricca di frutta e verdura di stagione, può aiutarci a rimetterci in carreggiata e supportare il nostro organismo dopo la pausa estiva. In questo senso, un ruolo fondamentale è svolto da alcuni componenti presenti in alimenti di origine vegetale, come in particolare le vitamine. Tra queste la vitamina C, che svolge un’azione antiossidante e che ha un ruolo importante nel supportare alcune cellule del sistema immunitario, è un alleato importante per potenziare le difese del nostro organismo. La vitamina C infatti è uno dei principali antiossidanti che i globuli bianchi impiegano quando, come spesso accade nei mesi autunnali, si attivano per combattere le infezioni. A settembre possiamo trovare la vitamina C in frutta e verdure di stagione come uva, fichi, agrumi (ma anche fragole, frutti di bosco, kiwi), peperoni, broccoli, cavoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, piselli, spinaci e patate (ma anche pomodori e salsa di pomodoro).
Spesso si pensa che il raffreddore compaia solo durante le stagioni fredde. In realtà, sintomi come naso che cola e gola infiammata possono presentarsi anche durante l’estate. Ma quali sono le cause?
Il concetto alla base di tutte le vaccinazioni è quello di dare alle cellule dell’organismo gli strumenti per riconoscere un virus e combatterlo, ma senza esporre l’organismo alla malattia vera e propria. In particolare, i vaccini contro Covid-19 portano il nostro organismo a riconoscere una delle proteine che il virus espone sulla sua superficie, la proteina SPIKE. In questo modo, una volta che il virus entra nel nostro organismo gli anticorpi riconoscono la proteina e rendono inattivo il virus. Il sistema immunitario, grazie ad alcune cellule, i linfociti T della memoria, riesce a ricordarsi come produrre anticorpi in risposta al virus per un lungo periodo di tempo, anche se la durata di questa memoria può variare da vaccino a vaccino. Alcuni vaccini, infatti, ci forniscono una protezione che dura per tutta la vita, come per esempio quello contro il morbillo o l’epatite B, mentre altri ci forniscono protezione per un periodo limitato, come il vaccino antitetanico, che ci protegge per circa 10 anni.
Per valutare l’efficacia e la sicurezza di un vaccino, vengono messi a punto studi clinici, che durano diversi mesi e che permettono di esaminare la reazione dell’organismo e l’eventuale comparsa di effetti collaterali. Quando si dice che un vaccino è efficace nel 92% dei casi, ad esempio, significa che il 92% delle persone vaccinate non si sono ammalate e risultano quindi protette dall’infezione. Normalmente, i tempi per la produzione di un vaccino efficace sono piuttosto lunghi. Nel caso del vaccino anti-Covid-19 questi tempi sono stati accelerati grazie alla grande disponibilità di finanziamenti dedicati e alla presenza di moltissimi volontari che si sono offerti per la sperimentazione. Tuttavia, la valutazione di efficacia e sicurezza di un vaccino (ma vale per tutti i farmaci) continua anche mentre questo viene distribuito alla popolazione. Lo si può fare con studi aggiuntivi e, in particolar modo per meglio comprendere quanto è sicuro un vaccino, con il costante monitoraggio delle reazioni avverse (gli “effetti collaterali”) che si manifestano. L’analisi delle reazioni avverse permette di avere un quadro della sicurezza più completo di quanto si potrebbe avere con i soli studi clinici, perché la popolazione vaccinata aumenta ogni giorno! Gli aggiornamenti sulla sicurezza che possono verificarsi quindi non devono preoccupare, ma anzi rassicurare che l’attenzione è sempre massima. È un processo che viene applicato a qualunque farmaco e cessa solo quando non viene più commercializzato. Con i vaccini anti-Covid-19 i tempi con cui si prendono decisioni in tema di sicurezza (che normalmente richiedono anche molti mesi) si sono potuti abbreviare a pochi giorni o settimane. Infatti, data la loro importanza, un gran numero di esperti è stato coinvolto e la massima priorità è stata data a questa tematica.
Per aiutare il nostro sistema immunitario a rispondere meglio al vaccino, una buona strategia è quella di praticare attività fisica regolarmente e seguire una dieta sana ed equilibrata, che passa anche attraverso l’assunzione di integratori alimentari o probiotici, utili proprio per stimolare le difese immunitarie.
Come per altri vaccini, la vaccinazione contro il Covid-19 protegge ad oggi solo da questo tipo di virus. Vaccinarsi contro l’influenza stagionale, ad esempio, sarà ancora necessario, pur avendo avuto la possibilità di vaccinarsi contro il Covid-19, proprio a causa della diversa natura dei virus.
Su come i vaccini si comportano con le varianti, non esiste una regola univoca ma ogni variante, anzi, rappresenta un discorso a sé. Sono ad oggi in corso studi sui vaccini sviluppati per capire quanto siano efficaci contro le varianti in circolazione e, ad esempio, se ulteriori richiami ci rendano più protetti da alcune varianti. Una cosa è certa: quante più persone il virus infetta, tanto maggiori sono le possibilità di sviluppare nuove varianti. Per cui, un’adesione ampia e celere alle campagne vaccinali già in atto è la migliore strategia per contrastare l’affermarsi di nuove varianti in futuro.
Se ho fatto il vaccino posso ammalarmi? Sì, perché nessun vaccino conferisce una protezione al 100%. Per questo è importante continuare a studiare i vaccini dopo la loro approvazione, per capire se ci sono persone che sono più a rischio di altre. O, ancora, se certi soggetti maggiormente a rischio possono beneficiare di un ulteriore richiamo a qualche mese di distanza. Non dobbiamo però mai scordare le buone notizie: è dimostrato che i vaccini riducono notevolmente il rischio di ammalarsi e che, anche quando ci si ammala, i sintomi sono più lievi (quindi il vaccino ci protegge ancor più dal rischio di contrarre una forma grave di malattia, che è l’obiettivo primario per cui è stato sviluppato). Questo ci insegna che le misure di distanziamento sociale dovranno rimanere con noi ancora per un po’ di tempo, finché il piano vaccinale non arrivi a completamento. Un contributo importante arriverà anche dalla vaccinazione dei più piccoli, per i quali sono in corso studi, ma è ragionevole attendersi che dovremo aspettare ancora diversi mesi prima che le vaccinazioni sui bambini possano partire.
Sole e caldo indeboliscono il Covid-19? Ad oggi, non esistono ancora evidenze scientifiche che confermino che esporsi al sole o vivere in Paesi con un clima caldo, possa prevenire l’infezione da Covid-19 e ridurne il contagio.
Come precisa il Ministero della Salute, infatti, la pandemia ha colpito senza distinzioni tutte le Nazioni: temperature elevate, quindi, non hanno rappresentato un limite per la diffusione del virus. Tuttavia, il caldo svolge un’azione indiretta sul Covid-19: con temperature superiori, in primavera ed estate, si tende a trascorrere più tempo all’aria aperta, dove è più facile stare a distanza dagli altri, e questo rende più difficile la trasmissione del virus. Nonostante ciò, anche nei mesi estivi, le misure di distanziamento sociale e i dispositivi di protezione sono imprescindibili per scongiurare o contenere l’insorgenza di nuove ondate.
Le infezioni da alcuni virus tendono a essere stagionali. Questo accade poiché i comportamenti umani, tra cui la tendenza ad affollare spazi chiusi o viceversa di trascorrere tempo all’aperto, variano nel corso dell’anno, in relazione alle temperature e alle stagioni. Inoltre, la sopravvivenza del virus nell'aria e sulle superfici può variare in relazione alle condizioni ambientali e al tasso di umidità.
Altro fattore da tenere in considerazione sono gli sbalzi di temperatura, che bloccano il meccanismo fisiologico della clearance mucociliare: si tratta di un’azione che permette alle nostre vie respiratorie di ripulirsi costantemente dal muco, dove sono intrappolati virus e batteri. Il blocco della clearance dovuto agli sbalzi termini ci rende quindi più suscettibili a contrarre infezioni respiratorie, tra cui quella provocata dal Covid-19.
Oltre al variare delle condizioni climatiche, però, ci sono altri fattori che determinano la capacità di diffusione e infezione di un virus. Ogni patogeno è infatti dotato di specifici meccanismi con i quali infetta il suo ospite. Meccanismi che possono rendere il virus più o meno adatto a diffondersi rapidamente, anche a seconda della stagione.
Qualche esempio?
Il virus respiratorio sinciziale è un’infezione tipicamente invernale, la varicella è primaverile, mentre i rotavirus mostrano un picco di infezioni a dicembre e gennaio. Perfino l’herpes genitale segue una sua stagionalità: è più comune in primavera-estate.
Durante l’estate, virus come quelli dell’influenza non riescono a propagarsi a sufficienza per dare luogo a un’epidemia. Al contrario altri, come il Covid-19, sono in grado comunque di diffondersi.
Da prendere in considerazione, inoltre, sono le varianti di uno stesso virus, che possono essere più o meno efficienti nel diffondersi tra la popolazione. È quindi fondamentale non arrivare impreparati all’arrivo della bella stagione e all’allentamento delle restrizioni agli spostamenti: mascherine, igiene delle mani e distanziamento sociale sono misure che dovranno essere mantenute.
Sarebbe un grave errore sperare che la bella stagione sia la soluzione per un sollievo temporaneo della pandemia. Anzi, come abbiamo visto, gli sbalzi di temperatura primaverili porteranno a un aumento nei casi di raffreddore e mal di gola causati da irritanti, non necessariamente infezioni. Teniamo quindi a mente la raccomandazione sempre valida di vestirci a strati, ed evitare quanto più possibile le esposizioni ad agenti irritanti. Un consiglio, quest’ultimo, particolarmente utile per chi soffre di allergie o reflusso gastrico, cause comuni di mal di gola.
Misure come distanziamento sociale, attenta igiene delle mani e mascherine sono irrinunciabili: questi accorgimenti funzionano in ogni stagione, con ogni temperatura e condizione climatica e contro tutti i virus respiratori!
Da millenni gli esseri umani convivono con virus e batteri, e non sempre i rapporti sono stati buoni. Vi sono stati casi in cui epidemie hanno assunto proporzioni continentali o globali, lasciando un segno indelebile anche nell’arte (pensate al Decamerone del Boccaccio, ai capitoli che il Manzoni dedica alla peste di Milano nei Promessi Sposi o alle raffigurazioni di San Rocco, santo protettore degli appestati, frequenti nelle nostre Chiese), nella lingua e nelle tradizioni.
È il caso della peste, che nel XIV secolo sconvolse l’Europa intera e lo fece a più riprese nei secoli successivi. Fu proprio durante questo periodo che, per la prima volta, vennero coniati termini che ancora oggi conosciamo e utilizziamo:
All’inizio del ‘900, invece, fu l’influenza a diffondersi con insolita violenza, causando la pandemia nota con il nome di Influenza Spagnola. Rispetto alle altre influenze, la Spagnola era caratterizzata da una notevole mortalità. Questo era probabilmente dovuto anche alla sua esplosione in contemporanea alle ultime fasi della Grande Guerra, con ampie fette della popolazione allo stremo per le privazioni provocate dal conflitto.
Il nome lo prese dalla nazione dove per prima ne venne segnalata la presenza, anche se con tutta probabilità era già diffusa in altre nazioni europee. Ma la Spagna in quegli anni non era in guerra, e la notizia di un’epidemia di influenza associata ad anomala mortalità poteva essere diffusa con più libertà.
Armi importanti per combattere l’epidemia di Spagnola furono i farmaci antipiretici, le cui prime molecole erano state sintetizzate alcuni decenni prima (fenacetina, sintetizzata nel 1889 e oggi in disuso; acido acetilsalicilico, sintetizzato nel 1899 e ancora oggi impiegato). Gli antipiretici permettevano di abbassare la febbre, fino a quel momento un sintomo problematico da gestire.
Nella storia, le epidemie compaiono e si spengono, per poi ricomparire a distanza di anni o secoli. In passato, quando non esistevano i vaccini, la ciclicità con cui si presentavano epidemie come quelle di peste era dovuta alla perdita di immunità nella popolazione (le nuove generazioni non avevano l’immunità che le vecchie generazioni avevano acquisito dall’epidemia precedente, e diventavano più suscettibili a un nuovo contagio). Oggigiorno, le nuove pandemie sono dovute in parte all’emergenza di nuovi virus, come il SARS-CoV-2, che generano malattie mai viste prima (Covid-19), e in parte alla formazione di varianti di virus già conosciuti, che ne aumentano l’aggressività, portando quindi a una ricomparsa di malattie che si credevano sconfitte. In altri casi, patologie che si pensavano quasi scomparse, tornano a colpire, per un calo della copertura vaccinale, come nel caso del morbillo, per il quale si osservano focolai epidemici in diversi paesi occidentali.
Anche dopo essere guariti dall’infezione da Covid-19, e cioè dopo che i tamponi hanno dato esito negativo, in alcuni casi è ancora possibile che permangano alcuni sintomi. Questi potrebbero durare settimane o perfino mesi, nel caso siate ricovero in ospedale. Come gestirli? Fate sempre riferimento al vostro medico, ma qui potete trovare alcuni suggerimenti utili:
Fiato corto.
Si tratta di un sintomo comune e ci sono alcuni piccoli accorgimenti per ridurre il disagio.
Tutte le volte che è possibile, assumi una posizione che ti faciliti la respirazione:
Cerca di respirare lentamente, inspirando con il naso ed espirando con la bocca. Cerca di tenere con la respirazione un rapporto 1:2, ovvero espira per il doppio del tempo che dedichi all’inspirazione.
Per esercitarti a tenere questo rapporto, mettiti in una posizione comoda e fissa un oggetto rettangolare (una finestra, il televisore). Percorri il perimetro con gli occhi: inspira lungo il lato corto ed espira lungo il lato lungo.
Ricordati di arieggiare la stanza in cui ti trovi, per favorire il ricambio d’aria.
Nel caso in cui la mancanza di respiro peggiori, rivolgiti al medico.
Tosse.
In caso di tosse secca, ecco alcuni consigli che ti possono essere utili per ridurre il fastidio:
Spossatezza e debolezza muscolare.
Dopo un ricovero per Covid-19 oppure, in generale, dopo essere guariti da questa malattia, potreste provare un profondo senso di spossatezza.
Potrebbe essere faticoso muoversi per la casa o gestire le solite attività quotidiane. È importante capire quali sono i tuoi livelli di energia e adattarti in modo da non sforzarti troppo.
Un suggerimento? Usa le 4 P:
Mal di testa, dolori muscolari o articolari.
Il dolore può essere un altro sintomo fastidioso che permane dopo la risoluzione dell’infezione da Coronavirus. La buona notizia è che il dolore, sia alla testa che ai muscoli o alle articolazioni, generalmente passano al più dopo qualche settimana. Bisogna armarsi di pazienza e, quando diventano più intensi, ricorrere a un farmaco analgesico.
A prescindere dalla persistenza di alcuni sintomi, dopo un’infezione respiratoria, specie se debilitante, è necessario seguire un’alimentazione che supporti il nostro corpo a rigenerarsi. Quindi, a meno che non esistano controindicazioni specifiche, è utile includere un adeguato quantitativo di proteine nella dieta, che contengono i “materiali da costruzione” che aiutano il nostro corpo ricostruire i tessuti deperiti. A queste vanno aggiunte vitamine e minerali, e una quantità adeguata di fluidi durante tutta la giornata, per evitare il rischio di disidratarsi. Una dieta per la convalescenza dopo un’infezione respiratoria (Covid-19 o influenza), quindi, deve comprendere, ogni giorno:
La ripresa dell’attività fisica.
Riprendere l’attività fisica dopo un’infezione respiratoria è utile anche per stimolare il sistema immunitario a sviluppare anticorpi contro il virus che ha provocato l’infezione. Tuttavia, è importante non strafare e riprendere quando i sintomi si sono completamente risolti, altrimenti il fisico, ancora debilitato, non solo non beneficerebbe dell’attività fisica, ma avrebbe una maggiore probabilità di infortunarsi.
Come regola generale, chiedi consiglio al tuo medico, che conosce la tua situazione specifica e saprà consigliarti sul momento l’attività più adatta alla ripresa.
Ecco alcuni piccoli consigli per la ripresa dell’attività fisica dopo un episodio di Covid-19:
Il virus è un parassita: non è in grado di riprodursi in autonomia e, per farlo, ha bisogno di sfruttare le cellule viventi. Una cellula infettata diventa, di fatto, una sorta di fabbrica, che sintetizza molte copie del virus, che quindi riesce a replicarsi, cioè riprodursi.
Durante la fase di replicazione, il virus può andare incontro a mutazioni, cioè ad alterazioni della sua struttura genetica. In alcuni casi, i virus mutati sono molto diversi da quelli di origine, per questo motivo, può capitare che non vengano riconosciuti dall’organismo che è già stato infettato in precedenza o vaccinato.
Un esempio è quanto accade con il virus dell’influenza, che ogni anno muta. Quello che può verificarsi è che, anche se abbiamo già preso l’influenza una volta, possiamo averla nuovamente, perché il virus, nel frattempo, è mutato in modo da rendersi irriconoscibile al nostro sistema immunitario. Il nostro organismo, non riconoscendo la versione mutata del virus, non è in grado di capire che si trova di fronte allo stesso agente patogeno che abbiamo già affrontato in passato, e non produce gli anticorpi rapidamente. Questo è il motivo per cui rischiamo ogni anno di ammalarci di influenza.
L’influenza e altre infezioni respiratorie, come per esempio quella da Covid-19, sembrano colpire di più durante la stagione invernale. Il motivo? È colpa delle condizioni ambientali: durante i mesi freddi, infatti, trascorriamo molto più tempo in ambienti chiusi, che spesso sono affollati, e dove il ricambio d’aria è minimo. Per queste ragioni, un virus può “ristagnare” a lungo nell’ambiente e ci si può infettare con più facilità. Inoltre, durante i mesi freddi, sono più frequenti gli sbalzi termici tra un ambiente chiuso e caldo e l’esterno, più freddo. Questo determina il blocco della “clearance mucociliare”, ovvero quel meccanismo per cui sottili ciglia presenti a livello delle nostre vie respiratorie spingono il muco, che intrappola batteri, virus e particelle estranee, verso la bocca, per poterli eliminare. Bloccare questo movimento determina il ristagno nelle vie aeree del muco e delle particelle estranee che in esso sono invischiate, favorendo quindi l’insorgenza di infezioni respiratorie.
Nella stagione 2020-2021, i casi di influenza stagionale sono inferiori rispetto agli anni precedenti.
La spiegazione è semplice: i virus influenzali circolano meno, grazie al distanziamento sociale, all’utilizzo di mascherine per coprire naso e bocca, e all’uso di disinfettanti e lavaggio delle mani. La bassa incidenza di influenza è un’ulteriore dimostrazione dell’efficacia di queste misure e della loro importanza nel limitare la diffusione del contagio.