Uricemia, quando è necessario fare l’esame?

Cos’hanno in comune Carlo Magno, Piero de’ Medici (il papà di Lorenzo), il Re Sole, Papa Giulio II? A parte l’essere passati alla storia, hanno sofferto tutti di gotta, una malattia del metabolismo che causa dolorosi attacchi di artrite infiammatoria, con arrossamento e gonfiore delle articolazioni.

Un tempo era considerata “roba da ricchi” perché il suo principale fattore scatenante è un’alimentazione ricca di carni, salumi, formaggi, dolci – cibi che nei secoli passati in pochi potevano permettersi in grandi quantità – insieme alla predisposizione genetica (che pure era favorita dal fatto che i nobili si sposavano tra loro, talvolta addirittura tra parenti, con una inevitabile trasmissione della predisposizione stessa).

La causa della gotta è in realtà l’accumulo di acido urico nel sangue: quando è in eccesso, provoca la formazione di cristalli che si depositano nelle articolazioni causando l’infiammazione. Oggi che tutti possiamo permetterci di esagerare con i cibi di origine animale – anzi, nulla costa meno del “fast-junk food” fatto di hamburger, merendine e cibi confezionati – insieme con la diffusione di insufficienza renale cronica (spesso silente), sovrappeso, obesità e invecchiamento della popolazione, le patologie legate (o peggiorate) dall’eccesso di acido urico sono numerose.

Ed ecco perché spesso il medico, nel prescriverci un check up generale o per definire un quadro diagnostico se abbiamo un disturbo, spesso inserisce tra gli esami del sangue anche l’uricemia, ovvero la misurazione dei livelli di acido urico nel sangue, utile in caso si manifestino determinate tipologie di dolore o sintomi specifici di altro genere.

«L’iperuricemia, cioè un’elevata concentrazione di acido urico, si ha quando il valore risulta al di sopra dei 7 mg per decilitro per gli uomini, e di 6,5 mg per decilitro per le donne in età fertile», spiega Andrea D'Alessio, responsabile UO Medicina Interna e Oncologia del Policlinico San Marco di Zingonia (BG) - Gruppo San Donato.

L’acido urico è un prodotto finale del metabolismo, cioè della distruzione, delle purine, molecole che vengono prodotte dall’organismo ma che possono essere introdotte anche con l’alimentazione. L’acido urico, dopo essere stato così prodotto dal normale metabolismo delle purine, viene eliminato dall’organismo attraverso i reni.

«La differenza tra maschi e femmine comincia nella pubertà: in età pediatrica i valori di acido urico sono molto bassi, le donne poi sono più protette dagli estrogeni fino alla menopausa, quando i rischi diventano equivalenti a quelli maschili».

L’innalzamento dell’acido urico avviene per lo più in maniera silenziosa: «È sintomatico nei pazienti che poi si ammalano di gotta o hanno una precipitazione dell’acido urico nel rene che causa la formazione di calcoli, per esempio. Ma valori di acido urico alti, cioè sopra 7 o 8 mg/dl, sono abbastanza frequenti e asintomatici nella popolazione: vale per circa il 7-8 per cento degli italiani».

Ne deriva l’utilità di diagnosticare in modo il più possibile tempestivo questo tipo di problematiche, così da evitare che degenerino in patologie peggiori come, appunto, i calcoli renali o altri disturbi delle vie urinarie, e da misurare costantemente il rischio connesso in base ai valori di riferimento.

Le cause dell’iperuricemia

Perché l’acido urico si alza? «Succede quando aumenta la produzione di purine: per predisposizione genetica, dovuta per esempio ad alterazioni enzimatiche che inducono l’organismo a una maggiore produzione di purina e di conseguenza di acido urico, oppure a reni meno efficienti nell’eliminazione di quest’ultimo. Più spesso aumentano per condizioni fisiologiche: la più frequente è la disidratazione, perché la riduzione del volume plasmatico porta a un innalzamento dell’acido urico quando il sangue si concentra. Anche l’obesità porta alla iperproduzione di acido urico e lo stesso accade nelle malattie oncologiche, sia nelle fasi iniziali del tumore sia in fase di trattamento con chemioterapia o radioterapia».

Come nel passato, conta anche lo stile di vita: «In primis, una dieta all’insegna di un eccessivo consumo di alcol e di alimenti ricchi di purine, come carni rosse e bianche, frattaglie, aringhe, acciughe, sardine, cozze, selvaggina, salumi, legumi, asparagi, spinaci, cavolfiori, funghi ecc. I soggetti fruttariani, o chi consuma in generale grandi quantità di frutta, deve sapere che il fruttosio favorisce l’iperuricemia, in quanto ne riduce l’eliminazione renale. Anche alcuni farmaci possono avere un ruolo: per esempio i diuretici tiazidici o i salicilati e alcuni farmaci per l’ipertensione, come gli ACE-inibitori e alcuni sartani. Infine, anche vivere nelle città inquinate contribuisce all’iperuricemia».

Se gli eccessi alimentari sono stati storicamente associati all’iperuricemia, paradossalmente anche la fame può esserne la causa: «Se la dieta è troppo povera di carboidrati, l’organismo utilizza le proprie proteine, prese dai muscoli, e i grassi residui: questo determina un’acidosi lattica che, spesso, è aggravata da un’alimentazione iperproteica. Se questo regime alimentare si prolunga oltre dieci-quindici giorni, la distruzione delle cellule muscolari causa un aumento dell’acido urico e la sua precipitazione nei reni, con rischi per la salute».

Le conseguenze dell’iperuricemia

Continua Andrea D'Alessio: «In generale cristalli di urato monosodico che derivano dall’acido urico possono precipitare nelle articolazioni e determinare la gotta o finire nei tubuli renali causando calcoli o la nefropatia da urati. Accade, per esempio, in alcuni tumori del sangue che, alzando l’acido urico, inducono anche insufficienza renale che può portare addirittura alla dialisi». Ma se ci sono malattie con conseguenze gravi, non va sottovalutato nemmeno un valore elevato di acido urico che non dà sintomi: «Che, per altro, è la condizione più comune: riguarda due terzi delle persone con iperuricemia. Ma il rischio patologie è alto: alla lunga può dare complicanze cardiovascolari, ipertensione, peggioramento di coronaropatie o malattia dismetaboliche (ipertensione-iperlipidemia-fegato gasso), fino a indurre insulino resistenza e sviluppo di diabete mellito».

La gotta spesso viene considerata una malattia del passato, ma gli italiani che si stima ne siano colpiti sono circa l'1% e l’8% fra gli over 65. Più spesso che in passato, ne sono colpite le donne: a volte per l’abuso di diuretici usati in maniera dissennata come dimagranti.

La diagnosi di iperuricemia

Scoprire l’iperuricemia è facile anche in assenza di sintomi: «Basta un banale prelievo del sangue, con prescrizione del medico di famiglia o dell’internista. Lo si fa di routine nelle persone con problemi metabolici, cardiopatici, ipertesi, con nefropatia, obesi o con vita sregolata, ma a volte anche come screening nelle persone sane, così come si controllano periodicamente emocromo, glicemia o creatinina. Lo si dosa inoltre se ci sono altre patologie, per esempio nei pazienti oncologici, per evitare che l’iperuricemia possa interferire con l’efficacia delle terapie». Dunque tenere costantemente sotto controllo alcuni parametri essenziali, anche tramite un semplice esame del sangue, risulta fondamentale per individuare questa problematica.

Per quanto riguarda la cura, l’iperuricemia richiede un approccio olistico. Spiega Andrea D’Alessio: «Se c’è una malattia sintomatica, la terapia mira a ridurre l’acido urico in tempi relativamente veloci con farmaci che ne bloccano la sintesi o ne favoriscono l’eliminazione a livello renale. O, viceversa, si cura la patologia principale con farmaci ad hoc, e si interviene sull’uricemia con la dieta, per esempio. Nei soggetti asintomatici o nei quali i sintomi non si sono ancora manifestati in modo acuto (per esempio il paziente che ha già depositi nelle articolazioni, ma non soffre di attacchi di gotta) è possibile un approccio più soft, non farmacologico, mirato solo a modifiche dello stile di vita: dimagrire, praticare attività fisica, bere molta acqua, riequilibrare la dieta eliminando gli eccessi, riducendo alcolici e bevande zuccherate. Si valutano i farmaci assunti, eventualmente sostituendoli con altri che non favoriscono l’iperuricemia. Chi pratica attività sportiva, spesso sottovaluta l'importanza dell’idratazione prima, durante e dopo e di bere tanta acqua (meglio se iposodica) quanta ne richiede la stagione e l’intensità della pratica svolta: se aumenta la densità plasmatica, aumentano tutti i cataboliti, con peggioramento della funzione renale e della viscosità del sangue che circola più lentamente. Un parametro empirico della disidratazione è il colore delle urine: se sono molto scure, non stiamo bevendo abbastanza. Una volta considerati tutti questi elementi, l’obiettivo delle modifiche sarà portare l’acido urico sotto i 7 mg/dl, meglio ancora sotto i 6».

Se necessario, il medico valuterà ulteriori esami di approfondimento: «Con l’anamnesi si cerca di capire se è una problematica di tipo familiare, quali sono eventuali altre patologie presenti, quali i farmaci assunti, lo stile di vita, l’assunzione di alcol, zucchero e l’abitudine al fumo (in particolare per le donne in menopausa, improvvisamente non più protette dagli estrogeni e con un peggioramento del quadro metabolico e cardiovascolare) e quindi potranno essere prescritte ulteriori indagini». Per esempio, la raccolta delle urine nelle 24 ore per valutare la quantità di acido urico espulsa.

Si tratti dunque di esami e prestazioni che, al pari del semplice prelievo di sangue, possono essere svolti facilmente presso centri specialistici ma anche in qualsiasi laboratorio di analisi cliniche, anche presso gli ospedali pubblici, e che spesso riescono a diagnosticare in tempo condizioni patologiche che potrebbero aggravarsi se non trattate accuratamente.

Esiste anche la possibilità – più rara e meno preoccupante, in genere - di ipouricemia, cioè di valori sotto la norma di acido urico: le cause più frequenti sono anemia, dieta vegana e sottonutrizione, malattie del fegato (epatiti virali), acidosi lattica (scompenso metabolico che causa accumulo di acidi nei tessuti e nei fluidi corporei), nefropatie, terapie a base di estrogeni, salicilati, cortisone.

Come prevenire l’iperuricemia

In sintesi, ecco alcuni consigli per mantenere valori equilibrati di acido urico:

  1. Non eliminare i carboidrati amidacei dalla dieta (pasta, pane, riso, patate ecc.) perché aiutano a eliminarlo.
  2. Ridurre i dolci, la frutta zuccherina (fichi, cachi, banane, uva e frutta essiccata), le bevande zuccherate perché il fruttosio favorisce l’accumulo di acido urico.
  3. Attenzione a diete ipocaloriche o digiuni prolungati. Il digiuno o la prolungata assenza di nutrimenti possono peggiorare, oltre ai valori dell’uricemia, anche i risultati degli esami del sangue.
  4. Evitare superalcolici, birra e alcol in generale, nonché il fumo, l’eccesso di caffeina e le altre cattive abitudini nel campo dell’alimentazione dello stile di vita.
  5. Bere 2 litri d’acqua al giorno. Integrare in abbondanza il liquido perso con le normali attività quotidiane è importantissimo per mantenere la salute e il benessere dell’organismo; sul breve periodo, poi, può migliorare i risultati dell’analisi del singolo campione di sangue.
  6. Mantenere il peso forma o dimagrire, se è in eccesso.
  7. Ridurre i grassi di origine animale e assumere cinque porzioni al giorno di vegetali, tra verdura e frutta. Esagerare con i prodotti di origine animale, come si è detto, è uno tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza dell’iperuricemia; per converso, frutta e verdura aiutano a mantenere i livelli di micronutrienti corretti, così da non dover ricorrere a integratori alimentari.

Oltre a ciò, ricordiamo che è sempre fondamentale contattare degli specialisti in caso di dubbi, perplessità, consigli di prevenzione, o semplicemente per prenotare una visita di controllo, così da verificare la piena funzionalità del proprio organismo e curare in tempo tutte le problematiche connesse all’uricemia.

Inoltre, solo dei professionisti possono prescrivere i farmaci giusti per il trattamento della patologia o, qualora siano proprio dei medicinali a peggiorare i livelli dell’uricemia (è il caso di alcune terapie per l’ipertensione arteriosa), suggerire di ricorrere a cure alternative, che abbiano comunque, per il paziente, l’effetto di migliorare la propria condizione.

Mariateresa Truncellito
Mariateresa Truncellito
Brianzola di nascita, lucana di famiglia, si è formata alla Scuola di giornalismo Rizzoli-Corriere della Sera dopo aver vinto una delle dodici borse di studio dopo la laurea in Scienze Politiche. Giornalista professionista, in oltre vent'anni di lavoro ha scritto per oltre una cinquantina di testate nazionali, cartacee e on line. Ha lavorato per molti anni al desk, in quotidiani e periodici, fino al ruolo di caporedattore per il mensile Top Salute. Oggi è freelance. Scrive per numerose testate, collabora con professionisti del settore della salute, modera conferenze e tavole rotonde, corsi di aggiornamento per giornalisti e presentazioni, collabora con diverse agenzie di comunicazione. Si occupa di molti temi che riguardano le donne, con particolare attenzione alla divulgazione sulla salute e il benessere femminile, la medicina di genere, gli aspetti più delicati e controversi della ginecologia e della fertilità, dai vaccini alla menopausa alle malattie a trasmissione sessuale, grazie ai quali ha vinto numerosi premi giornalistici. Nel tempo libero è una ballerina appassionata di lindy hop, boogie woogie e altri balli swing, attività che non manca mai di consigliare nei suoi articoli di benessere perché consentono di fare movimento divertendosi e socializzando. E sono adatte a tutti e a tutte le età.

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