Tomografia a emissione di positroni (PET)


Esame strumentale utile in diverse branche della medicina, in particolare in oncologia e neurologia.

Che cos’è

La tomografia a emissione di positroni conosciuta con l’acronimo PET (dall’inglese Positron Emission Tomography) è un esame diagnostico che fa parte del settore della medicina nucleare.

In medicina nucleare si utilizzano, a scopo diagnostico oppure terapeutico, composti chiamati radiofarmaci: sono costituiti da una sostanza dotata di funzioni biologiche e da un particolare tipo di atomo radioattivo, detto radionuclide e possono essere somministrati mediante un'iniezione, per via orale, per via locale oppure attraverso il peritoneo .

La parte biologicamente attiva ha la proprietà di localizzarsi a livello dei tessuti veicolando in essi il radionuclide al quale è abbinata. I radionuclidi utilizzati sono isotopi instabili degli atomi prescelti, che tendono a trasformarsi rapidamente attraverso un processo detto decadimento, durante il quale emettono radiazioni.

Nella PET queste radiazioni vengono captate dall’esterno da speciali apparecchiature di scansione e tradotte in immagini diagnostiche.

Quando un radiofarmaco viene somministrato per l’esecuzione della PET, il radionuclide annesso ha la funzione di rendere visibili le caratteristiche e lo stato di attività dei tessuti nei quali il radiofarmaco va a localizzarsi.

A differenza dell'ecografia, della tomografia assiale computerizzata (TAC, o più semplicemente TC) e della risonanza magnetica nucleare (RMN) - metodiche di imaging che rendono visibili le caratteristiche strutturali dei tessuti e degli organi e quindi forniscono informazioni di tipo morfologico - la PETinformazioni di tipo funzionale (analogamente a quanto avviene con la scintigrafia, differente però sul piano tecnico).

Nei processi patologici le scansioni PET possono rilevare alterazioni delle funzioni biologiche che accompagnano o talvolta precedono le modificazioni anatomiche riscontrabili con la TAC o con la RMN.


Come funziona il radiofarmaco

Il composto oggi più utilizzato nella tomografia a emissione di positroni in qualità di radiofarmaco è il fluorodesossiglucosio, indicato dalla sigla chimica 18F-FDG: si tratta di uno zucchero analogo al glucosio, associato a un isotopo radioattivo del fluoro (18F).

In quanto simile al glucosio, che rappresenta un substrato essenziale e ubiquitario dei processi metabolici cellulari che costantemente si reiterano nel corpo umano, il 18F-FDG viene anch’esso incorporato dalle cellule, ma non viene del tutto metabolizzato fino a quando il suo isotopo 18F continua a emettere radiazioni.

Durante la fase di decadimento radioattivo l’isotopo 18F genera delle particelle chiamate positroni.

I positroni sono particelle subatomiche a carica elettrica positiva, le quali incontrandosi con gli elettroni a carica negativa si annientano attraverso un processo chiamato annichilazione, che trasforma la massa delle particelle in radiazioni nella forma di fotoni gamma.

In una variante tecnicamente più semplice della PET, denominata tomografia computerizzata a emissione di fotone singolo e indicata con la sigla SPECT, si utilizzano radioisotopi che non emettono positroni, ma direttamente le radiazioni gamma.

La durata della radioattività di un radiofarmaco dipende da un parametro tipico di ogni isotopo chiamato emivita, o tempo di dimezzamento, che corrisponde al tempo necessario perché la metà degli atomi di un campione dell’isotopo decadano, cioè si trasformino spontaneamente in un altro elemento. Quanto più l’isotopo è instabile tanto più è breve la sua emivita: nel caso del 18F questo periodo è di circa 110 minuti.

Nel corso del processo di decadimento della sua componente radioattiva la molecola di fluorodesossiglucosio incorporata nella cellula rimane quindi “visibile” allo scanner della PET, assumendo praticamente il ruolo di “tracciante” della sua situazione metabolica del momento.



Dall’oncologia alla neurologia: a che cosa serve la PET

La tomografia a emissione di positroni eseguita con fluorodesossiglucosio, indicata in breve come PET 18F-FDG, è in grado di visualizzare i processi fisiologici correnti dei tessuti esplorati e quindi di rivelarne le variazioni rispetto alle condizioni normali.

Per queste ragioni, le sue applicazioni sono molteplici.

Per esempio, nel caso delle neoplasie la PET 18F-FDG può evidenziare un’abnorme attivazione dei processi metabolici nelle popolazioni di cellule tumorali in fase di proliferazione, poiché queste tendono ad assimilare il fluorodesossiglucosio a un ritmo superiore al normale.

In oncologia l’esame viene quindi utilizzato allo scopo di:

  • caratterizzare il funzionamento delle lesioni neoplastiche primitive, delle recidive e delle metastasi;
  • definire la stadiazione (cioè la diffusione e il grado di malignità) della malattia;
  • verificarne l’evoluzione nel corso del trattamento con chemioterapia o con radioterapia.

Pertanto, rappresenta ormai il principale strumento diagnostico per l’identificazione, la diagnosi differenziale e il monitoraggio di una grande varietà di tumori (del polmone, del colon-retto, della testa e del collo, della mammella, dell’ovaio, linfoma, melanoma ecc.).

Inoltre, la PET 18F-FDG ha un ruolo fondamentale in neurologia, dove viene impiegata nell’approfondimento diagnostico delle malattie neurodegenerative (morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica ecc.) - incluse le varie forme di demenza (malattia di Alzheimer, demenza vascolare ecc.) - e nella valutazione pre-chirurgica standard dei pazienti con epilessia.

La diagnostica per immagini eseguita mediante la somministrazione di glucosio radiomarcato risulta particolarmente efficace nella diagnosi delle demenze, dal momento che il glucosio è l’unico substrato energetico utilizzato dal tessuto nervoso. Osservando la distribuzione del 18F-FDG nel tessuto cerebrale, infatti, è possibile rilevarne le attività metaboliche e così riscontrare l'eventuale presenza di perdite a livello sia molecolare sia sinaptico in specifiche aree, comunemente associate alle varie forme di demenza.

Nella diagnosi del morbo di Parkinson e degli altri parkinsonismi (come, per esempio, l'atrofia multisistemica e la demenza a corpi di Lewy), invece, si predilige ancora l'uso della SPECT. Questa tecnologia, infatti, benché meno sofisticata rispetto alla PET, risulta più efficace nella diagnosi di queste patologie degenerative, poiché permette di rilevarne uno dei tratti distintivi, vale a dire la perdita dei trasportatori presinaptici della dopamina.

In cardiologia la captazione del 18F-FDG è in grado di rappresentare con estrema precisione le aree residue di tessuto miocardico vitale in caso di coronaropatia o dopo infarto (si parla in questo caso di PET miocardica).

Ma la PET 18F-FDG viene anche applicata in altri ambiti specialistici, per esempio nello studio di una serie di malattie reumatiche, disordini immunologici e patologie infettive.

Infine, con l’impiego di traccianti radioattivi diversi dal 18F-FDG è possibile esplorare, in alternativa al metabolismo del glucosio, altri fenomeni fisiologici indicativi di processi patologici in corso, come per esempio:

  • alterazioni della neurotrasmissione o fenomeni degenerativi specifici in particolari aree del cervello;
  • modificazioni della circolazione sanguigna nei tessuti colpiti da ischemia, emorragia, aterosclerosi.

Nel primo caso, per esempio, si utilizzano radiofarmaci che vengono captati selettivamente dal sistema dopaminergico nelle strutture cerebrali interessate dal morbo di Parkinson o che rendono visibili i depositi di sostanza beta-amiloide tipici della malattia di Alzheimer; nel secondo caso si ricorre ai cosiddetti “traccianti di perfusione” per evidenziare con la scansione PET lo stato della circolazione sanguigna negli organi studiati, per esempio nelle pareti del cuore.

In ambito oncologico, oltre al fluorodesossiglucosio si utilizza come radiofarmaco la colina marcata con carbonio o con fluoro radioattivi (11C- e 18F-colina), una sostanza che si accumula in modo selettivo nelle cellule neoplastiche a crescita lenta ed è particolarmente indicata per la valutazione di alcuni tumori come il cancro della prostata e del fegato.

In sintesi, la misurazione tramite scansione PET della captazione (che può essere aumentata oppure diminuita a seconda del processo patologico) e della diffusione in un tessuto di un particolare radiofarmaco, scelto in base agli obiettivi diagnostici, fornisce un’immagine precisa dello stato funzionale di quel tessuto.

PET, TAC o RMN?

In linea generale la PET può permettere di diagnosticare un processo patologico prima della TAC e della RMN, in quanto spesso le alterazioni funzionali precedono i cambiamenti della struttura e della morfologia dei tessuti colpiti. Oggi, tuttavia, sempre più frequentemente questi esami, e in particolare TAC e PET, vengono utilizzati in combinazione.

Il tomografo PET-TAC è un apparecchiatura nella quale i sistemi di rilevazione PET e TAC sono assemblati e controllati da un'unica consolle di comando, in modo tale da permettere al radiologo di integrare le immagini morfologiche della TAC con quelle funzionali della PET.

La combinazione dei due esami in tempo reale comporta un miglioramento della risoluzione e del contrasto delle immagini ottenute, rendendo così più accurata l’identificazione e la delimitazione delle aree studiate, e una riduzione dei tempi di esecuzione dell’esame.

Per la sua efficacia nella diagnosi precoce dei processi patologici la PET può assumere valore nella prevenzione secondaria, aumentando le probabilità di cura e controllo della malattia in corso. Tuttavia, è bene ricordare che, al pari delle altre indagini diagnostiche, deve essere eseguita in presenza di un concreto sospetto diagnostico oppure in casi selezionati che presentino un rischio di malattia superiore a quello della popolazione normale. Trattandosi di una procedura che espone a radiazioni il suo impiego è infatti previsto sulla base di indicazioni cliniche ben definite.

Come si svolge l’esame

L’esame PET o PET-TAC viene effettuato presso l’unità di radiologia e medicina nucleare di una struttura sanitaria, senza necessità di ricovero.

Le prescrizioni da seguire in fase di preparazione sono semplici:

  • osservare il digiuno per cibo e bevande (a eccezione dell’acqua) nelle 6 ore precedenti (nel caso della PET con FDG limitare zuccheri e carboidrati anche nella giornata precedente);
  • evitare il fumo di sigaretta e il consumo di alcolici, caffeina o altre sostanze eccitanti nelle 24 ore precedenti;
  • astenersi da attività fisica intensa in prossimità dell’esame.

Per quanto riguarda l’assunzione dei medicinali abituali è opportuno informare in anticipo il medico della terapia in corso e seguire le sue indicazioni. Molto importante, inoltre, è segnalare preventivamente l’eventuale presenza di patologie diagnosticate (fornendo possibilmente la documentazione relativa), uno stato di gravidanza (certo o presunto) o l’allattamento al seno, per agevolare il medico nell'interpretazione del risultato.

Anche se la sostanza "radioattiva" iniettata è un analogo del glucosio, non esistono controindicazioni alla somministrazione di quest'esame nei pazienti con diabete.

Per eseguire l'indagine, infatti, è sufficiente una piccola quantità di glucosio radiomarcato che, come tale, non è in grado di alterare l'equilibrio glicemico del paziente. Quest'ultimo, però, deve verificare regolarmente il proprio indice glicemico nei giorni precedenti l'esame e rimandare la prenotazione dell'esame, nel caso in cui questo risulti troppo alto.

La scansione PET non è invasiva e gli unici rischi sono legati, come nel caso della TAC, all'esposizione alle radiazioni ionizzanti: è quindi assolutamente controindicata durante la gravidanza, mentre nelle neo-mamme in fase di allattamento al seno questo deve essere interrotto dopo l’esecuzione dell’esame per un periodo, che verrà indicato dal medico, sufficiente a garantire la totale eliminazione dall’organismo del radiofarmaco somministrato.

L’esame inizia con la somministrazione per via endovenosa del tracciante radioattivo. Dopo un periodo di attesa che consenta alla sostanza di diffondersi nei tessuti attraverso il circolo sanguigno e una volta rimossi tutti gli oggetti metallici (come collane, orecchini e simili), si viene collocati in posizione supina sul lettino del tomografo e viene richiesto di rimanere immobili per tutta la durata della scansione.

Il dispositivo di scansione PET registra le radiazioni emesse dal radiofarmaco dall’interno del corpo (ma non apporta ulteriori radiazioni dall’esterno) e un sistema computerizzato le traduce in immagini che verranno poi refertate dallo specialista della medicina nucleare.

La scansione può durare di per sé 20-30 minuti, mentre l’intera procedura può richiedere 2-3 ore. Al termine dell’esame si viene dimessi potendo riprendere tutte le normali attività, compresa la guida, e l’alimentazione abituale, ed è consigliato assumere acqua in abbondanza per favorire l’eliminazione del tracciante.

A chi si è sottoposto a PET e conserva quindi temporaneamente una certa radioattività, sia pure a bassa dose, viene sempre raccomandato di non stare in prossimità di donne in gravidanza e bambini per alcune ore.

Monica Oldani
Monica Oldani
Psicobiologa, laureata in Medicina e chirurgia con specializzazione in Psicologia e PhD in Biologia del comportamento. Ha finora svolto attività scientifica, di ricerca e didattica, nei settori dell'etologia umana e animale, dell'etica animale e della zooantropologia, in collaborazione con l'Università di Utrecht (Olanda), con l'Università degli Studi di Milano e quella di Parma. Parallelamente ha maturato una propensione personale per la comunicazione scientifica che, a seguito di un’esperienza di formazione al corso post-laurea della Facoltà di Farmacia dell’Università degli Studi di Milano, pratica da oltre dieci anni, con attività di scrittura di livello sia tecnico-professionale sia divulgativo, revisione editoriale, traduzione (dall'inglese e dal francese) e partecipazione a progetti formativo-educativi nei settori dell'informazione medico-scientifica e della comunicazione naturalistico-ambientale.

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