Mani: a ogni disturbo il “suo” dolore

Dito a scatto, rizoartrosi e artrosi delle dita lunghe: tante le novità per recuperare l'uso della mano quando viene colpita da uno di questi tre disturbi.

Le mani sono tra le parti del corpo più sottovalutate. Molti infatti ancora oggi ritengono che per questa articolazione non esistano soluzioni terapeutiche.

«È un atteggiamento che oggi non ha più senso» sottolinea Giorgio Pajardi, direttore del Centro di chirurgia della mano dell’ospedale San Giuseppe Irccs Multimedica Università degli Studi di Milano. «La medicina ha fatto progressi e sono disponibili terapie mirate in base al disturbo».

La diagnosi è ancora prevalentemente basata sulla visita e sul colloquio col paziente, in modo da mettere a fuoco il tipo di dolore e i momenti della giornata durante i quali si manifesta. Solo così è possibile inquadrare il problema e scegliere la cura ad hoc.

Dito a scatto

Quando il dolore è soprattutto a un unico dito, più gonfio degli altri e che ogni tanto si blocca, tanto da doverlo rimettere in movimento con l’aiuto dell’altra mano, si tratta di tenovaginalite stenosante dei flessori, chiamata comunemente “dito a scatto”.

Oltre al pollice, le dita più colpite sono, in ordine, l'anulare, il medio, il mignolo e l'indice.

A causare il disturbo è un'infiammazione dei tendini flessori di un dito, che si manifesta con la formazione di un nodulo tendineo doloroso alla base del dito interessato.

Spesso è la conseguenza di un trauma o di movimenti ripetitivi condotti per anni. Oppure si manifesta in seguito all’operazione del tunnel carpale. O ancora, è tra le conseguenze di malattie come l’artrite reumatoide, l’ipotiroidismo e il diabete.

«Si può risolvere in due casi su tre con l’utilizzo di tutori», chiarisce Pajardi. «Ma non bisogna perdere tempo, altrimenti il meccanismo che ha generato il problema peggiora sempre di più e l’unica strada rimane l’intervento chirurgico».

Artrosi delle dita lunghe

Se il disturbo è localizzato a livello dell’articolazione terminale, dove c’è l’unghia, che si gonfia, pulsa e fa male, si tratta di artrosi delle dita lunghe.

Questi attacchi durano circa tre mesi, poi la zona si disinfiamma e rimane più grossa e deformata rispetto alle altre dita.

Questa forma di artrosi riguarda il 7% della popolazione sopra i 26 anni, circa 4 milioni di persone, e colpisce di più le donne in un rapporto di due a uno rispetto agli uomini.

A essere colpita è la cartilagine, cioè quella specie di cuscinetto che protegge le ossa durante i movimenti.

«Oggi, se si interviene tempestivamente, si evitano questi danni in otto casi su dieci», interviene l’esperto. «Viene preparato un tutore su misura simile a un ditale da indossare per sempre, che tiene a riposo il dito di notte».

Rizoartrosi

Se a essere colpita da una forma di artrosi è l’articolazione alla base del pollice, allora si parla di rizoartrosi, una patologia provocata dall’uso eccessivo dell’articolazione che così si consuma prima del tempo.

Si scatena intorno ai 40 anni ed è talmente diffusa da essersi meritata l’appellativo di “patologia sociale”.

«Oggi in otto casi su dieci la degenerazione del pollice si può arrestare se viene adeguatamente trattata e non si arriverà mai all’intervento chirurgico» sottolinea Pajardi. «La terapia prevede due tutori preparati su misura, uno per il giorno (chiamato funzionale) e l’altro per la notte».

«Con questo approccio – spiega lo specialista – si ottengono due obiettivi importanti. Da un lato, l’articolazione a riposo si disinfiamma, a vantaggio di un abbattimento dell’utilizzo di farmaci e pomate antinfiammatorie. Dall’altra, si impara con l’aiuto del fisioterapista a eseguire i movimenti giusti per non sovraccaricare la struttura del pollice».

L’obiettivo? Educare il cervello a una riprogrammazione dei movimenti della mano e far sì che scatti la correzione automatica del gesto in caso di errore.

Cinzia Testa
Cinzia Testa
Nata e cresciuta a Milano, decide da bambina di voler fare la giornalista e caparbiamente non modifica questo suo desiderio nonostante le difficoltà iniziali.  Dopo un periodo quale collaboratrice per le pagine milanesi de L’Unità nella seconda metà degli anni ’80, viene coinvolta nel primo progetto di editoria “naturale”: comincia a scrivere di alimentazione, le viene affidata una rubrica di ricette e tiene dei corsi pratici di cucina vegetariana e teorici nell’ambito dell’alimentazione. Da lì a scrivere di salute il passo è breve e nell’arco di un paio di anni avviene il “salto” e il passaggio definitivo al lavoro come freelance e la collaborazione a diverse testate come il quotidiano La Voce, il mensile del Gruppo San Paolo Club 3, per poi approdare a Donna Moderna, testata che rimane a tutt’oggi la sua principale attività. A metà degli anni ’90 viene anche coinvolta insieme a una collega nella redazione giornalistica di Attualità in Senologia, l’unica in Italia dedicata alla senologia oncologica e scatta la passione per l’oncologia. Considera il giornalismo come un momento anche di contatto e di confronto con il pubblico e ha l’opportunità di partecipare in prima persona a campagne di prevenzione sul territorio nell’ambito dell’oftalmologia (glaucoma) e dell’oncologia (tumori femminili) e di condurre con le colleghe di Donna Moderna dirette facebook su tematiche di salute ad ampio respiro. Curiosa per natura, ama viaggiare e quando può, restaura mobili e li riporta a nuova vita. Ha una passione infinita per la cucina, inventa continuamente nuove ricette e le scrive sui fogli più disparati che immancabilmente perde. Per ovviare a questa incurabile forma di distrazione, ora posta le foto dei piatti con l’elenco degli ingredienti direttamente su Instagram. Adora la solitudine come momento di ricarica, ma non potrebbe mai vivere senza le persone che ama. 

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