Herpes zoster: le diverse facce dello stesso virus

È conosciuto più comunemente come fuoco di Sant’Antonio ed è causato dallo stesso agente responsabile della varicella, il virus varicella-zoster.

Si chiama herpes zoster, o fuoco di Sant’Antonio, la malattia infettiva scatenata dalla riattivazione del virus varicella-zoster, dopo che il primo contatto di questo agente virale con l’organismo ha causato la varicella.

Tutti gli individui che nel corso della loro vita sono stati colpiti da questa malattia esantematica possono, di conseguenza, sviluppare successivamente l’herpes zoster. Vediamo insieme perché e quando questo può succedere, come riconoscere l’infezione e come affrontarla.

Un virus che ritorna

Il varicella-zoster (chiamato anche herpes virus 3) è un virus della famiglia degli herpes virus, la stessa, per intenderci, alla quale appartengono l’herpes simplex 1 (responsabile dell’herpes labiale, nota anche come febbre da labbro) e l’herpes simplex 2 (che causa invece l’herpes genitale).

Questi virus erpetici hanno una caratteristica comune: una volta che hanno scatenato una prima infezione, anche a guarigione avvenuta non vengono completamente distrutti, ma restano latenti e inattivi all’interno dell’organismo. I virus in questione, in particolare, si annidano all’interno dei gangli sensitivi, strutture del sistema nervoso che si trovano lungo il decorso delle radici dorsali che fuoriescono dal midollo spinale, nei nervi spinali e in alcuni dei nervi cranici.

La durata del periodo di latenza di questi virus è variabile, anche a seconda del tipo di agente preso in considerazione: se, per esempio, l’herpes simplex 1 tende a riattivarsi piuttosto spesso e determinando sempre una nuova recidiva della prima infezione, il varicella-zoster può non riattivarsi più o farlo, in genere, solo una volta nella vita, anche a distanza di molti anni dal primo incontro con l’organismo (infatti la riattivazione riguarda più spesso i soggetti con più di 50 anni), scatenando una patologia diversa dalla prima infezione.

La varicella è la prima manifestazione

Il virus varicella-zoster si trasmette solo da uomo a uomo: la trasmissione avviene in particolare per contatto diretto con il liquido presente nelle bolle che compaiono sulla cute in seguito all’infezione. Quando il virus varicella-zoster incontra per la prima volta l’organismo umano scatena la varicella, annoverata tra le principali malattie contagiose dell’infanzia.

Dopo un’incubazione di circa 2-3 settimane, la malattia esordisce solitamente con febbre, malessere generale, mal di testa, stanchezza e un’eruzione cutanea caratterizzata da piccole papule rosa pruriginose su tutto il corpo, che evolvono in vescicole e poi, in 4-5 giorni, si seccano e lasciano delle piccole croste. Lo sfogo si forma a ondate successive e dura anche per 10 giorni.

I sintomi si fanno in genere più evidenti e prolungati se la malattia colpisce adolescenti o adulti. La varicella tende a risolversi da sola, per cui la terapia è per lo più sintomatica: si può ricorrere a paracetamolo per la febbre, eventualmente antistaminici contro il prurito e, solo nei casi più a rischio complicanze, possono essere prescritti farmaci antivirali.

Perché il virus può riattivarsi

Anche se la risposta immunitaria dell’organismo è di solito sufficiente a bloccare la malattia, come abbiamo già avuto modo di anticipare, il virus varicella-zoster non viene completamente debellato dagli anticorpi e si rifugia nei gangli nervosi fino a una eventuale riattivazione.

Sembra che ciò che permette al virus di riattivarsi sia un abbassamento delle difese immunitarie, per esempio in concomitanza con periodi di forte stress, oppure in seguito a terapie farmacologiche con farmaci immunosoppressori (come quelli antirigetto che vanno assunti dopo un trapianto d’organo), a chemioterapia e radioterapia, o, ancora, in presenza di un sistema immunitario indebolito da altre condizioni (per esempio in caso di HIV) o reso più fragile dall’età avanzata. Non a caso, come già detto, sembra che la riattivazione del virus varicella-zoster, per quanto sia possibile a tutte le età, avvenga più di frequente dopo i 50 anni.

I sintomi dell’herpes zoster

Quando il virus si riattiva si può diffondere da uno o più gangli sensitivi, risalendo lungo il nervo fino alla striscia di pelle (detta dermatomero) innervata da tali fibre nervose. Proprio nell’area cutanea interessata si accusano inizialmente bruciore, dolore, prurito e fitte, associate rapidamente alla comparsa di lesioni cutanee a grappolo sovrapponibili a quelle causate dal virus durante la varicella, vale a dire bolle pruriginose piene di liquido che poi, di solito nell’arco di alcuni giorni, si seccano e lasciano delle crosticine destinate a cadere. L’area risulta inoltre particolarmente sensibile agli stimoli, per cui anche un lieve sfioramento può risultare fastidioso. A questi sintomi tipici si possono associare anche cefalea, affaticamento e sensazione di malessere generale.

Questa fase acuta dura, in genere, da due a quattro settimane. Le vescicole tendono a formarsi per più giorni e il liquido che contengono è altamente infettivo: per contatto diretto con il liquido un soggetto con herpes zoster può contagiare un’altra persona che non abbia mai avuto la varicella, facendola ammalare appunto di varicella e non di fuoco di sant’Antonio.

L’herpes zoster può interessare qualsiasi parte del corpo, generalmente solo da un lato, ma per lo più sono colpiti il torace, l’addome o gli arti.

Particolarmente serie sono le riattivazioni che coinvolgono specifiche fibre nervose. Può verificarsi per esempio:

  • un herpes zoster oftalmico, quando la riattivazione coinvolge la branca del nervo trigemino che innerva l’occhio, interessando quindi il bulbo oculare e a volte anche la punta del naso
  • un herpes zoster oticus o auricolare, quando è interessata la parte del nervo facciale che innerva l’orecchio.

Come è facilmente intuibile, queste forme possono essere pericolose perché mettono a rischio, rispettivamente, la vista e l’udito (lo zoster oticus, inoltre, può determinare anche una paralisi parziale del volto, a volte anche permanente).

La terapia dell’herpes zoster

Il fuoco di sant’Antonio tende a risolversi spontaneamente, ma ci sono farmaci che possono aiutare a limitare la durata e l’intensità dei sintomi della fase acuta e ridurre il rischio di complicanze successive.

In genere si ricorrere a una terapia con farmaci antivirali, che però per essere efficace va cominciata entro 72 ore dalla comparsa dell’eruzione cutanea.

Solo in alcuni casi, come in presenza di un herpes zoster oftalmico o oticus, il medico può prescrivere anche farmaci corticosteroidi per ridurre l’infiammazione. Possono inoltre essere suggeriti anche integratori alimentari (per esempio a base di vitamine del gruppo B o acido alfa-lipoico) con l’obiettivo di rinforzare e proteggere le fibre nervose periferiche, limitando i danni prodotti dal virus.

Una complicanza: la nevralgia post erpetica

Terminata la fase acuta, per alcune persone può subentrare una complicanza piuttosto temuta e debilitante: la nevralgia post erpetica.

Si tratta di un dolore neuropatico nell’area colpita dallo zoster, conseguenza dei danni che il virus ha prodotto replicandosi nelle fibre nervose, che può durare settimane, mesi o anni e diventare quindi cronico.

Questo dolore può essere continuo o episodico, può comparire spontaneamente o anche dopo stimoli così lievi da essere normalmente innocui. Inoltre, si può manifestare in molti modi, a seconda del tipo di fibra nervosa lesionata:

Dolore bruciante Alterazione delle fibre più sottili che trasmettono il calore
Formicolii Lesione delle fibre che trasmettono le sensazioni tattili
Dolore pungente Disfunzione delle fibre nervose che trasmettono il freddo

Si possono avvertire anche scosse, fitte e, se sono danneggiate diverse fibre, tutte queste manifestazioni possono essere presenti anche contemporaneamente. Come si può intuire, la nevralgia post-erpetica può quindi essere tale da compromettere seriamente la qualità della vita.

Secondo le linee guide specifiche esistenti, contro il dolore neuropatico si ricorre a un trattamento principalmente farmacologico. I comuni analgesici antinfiammatori sono sostanzialmente inefficaci nel trattamento di questo tipo di dolore e comunque non considerati appropriati. I medicinali di prima scelta non sono antidolorifici in senso stretto, ma appartengono alla categoria degli antiepilettici e degli antidepressivi: i primi agiscono modulando la trasmissione del segnale doloroso lungo le fibre nervose, mentre i secondi intervengono sulla percezione del dolore.

Poiché nella nevralgia post erpetica il dolore è localizzato in una ristretta parte del corpo, il medico può prescrivere anche trattamenti locali, come cerotti a base di un anestetico, la lidocaina, da mettere ogni 12 ore (in genere durante la notte), ma con una durata di effetto di 24 ore. Esistono, ma sono meno usati, anche cerotti che rilasciano capsaicina (la sostanza che dà il sapore piccante al peperoncino) che agiscono bloccando la trasmissione dolorosa per qualche mese.

Nel caso di dolore neuropatico i farmaci oppioidi sono considerati, infine, di seconda scelta, riservati cioè ai casi in cui gli altri non danno risultati sufficienti.

Prevenire con la vaccinazione

Per prevenire l’infezione da varicella-zoster si può puntare sul vaccino, disponibile sia per chi non ha mai contratto il virus, per evitare appunto la varicella, sia per coloro che hanno già avuto questa infezione, allo scopo di scongiurare il rischio che, a causa di una riattivazione del virus, si manifestino l’herpes zoster e, soprattutto, la nevralgia post erpetica.

In base al nuovo Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 e al decreto vaccini, la vaccinazione contro la varicella è ora obbligatoria (e gratuita) per tutti i nati dal 2017: è prevista una prima dose nel secondo anno di vita e la seconda a sei anni.

Il nuovo Piano vaccinale ha reso inoltre gratuito il vaccino contro l’herpes zoster per gli over65: in questi casi è sufficiente una sola dose.

Valeria Ghitti
Valeria Ghitti
Nata sulle sponde bresciane del lago d’Iseo con la passione per il giornalismo nelle vene, comincia, nell’estate del 2000, freschissima di diploma al liceo classico, a muovere i primi passi nella redazione di un service giornalistico milanese, e a collaborare così con testate nazionali femminili e di salute. Nello stesso periodo inizia il percorso universitario in Scienze della comunicazione a Trieste, che prosegue parallelamente al lavoro. Diventata giornalista pubblicista nel 2003, porta avanti collaborazioni con numerose testate della carta stampata, per lo più settimanali e mensili a tiratura nazionali, ma anche testate online e radiofoniche, occupandosi di salute (dall’alimentazione alla sessualità, dalla medicina al benessere, alla psicologia), divulgazione scientifica, bellezza, ambiente, stili di vita e gossip. Negli anni affianca all’attività giornalistica quelle di ufficio stampa (soprattutto nell’ambito turistico, della cultura e dello spettacolo), di correttrice di bozze, di ghostwriter e di web content editor e, più recentemente, quella di mamma. Freelance praticamente da sempre e ormai a un passo dalla laurea, dal 2016 può annoverare tra le sue collaborazioni anche quella con SapereSalute.it

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