Disfagia: quando deglutire diventa un problema

È un disturbo che affligge circa 500.000 italiani, soprattutto anziani. Spesso sottovalutato, può essere la spia (o la conseguenza) di patologie più gravi.

Colpisce il 20% della popolazione over50, con picchi del 30% nei bambini e percentuali ancora più elevate tra gli anziani. È la disfagia, la difficoltà a deglutire cibi o bevande.

Questo disturbo è responsabile di circa il 40% delle morti di pazienti che hanno avuto un ictus. Il cibo non correttamente deglutito, infatti, può finire nella trachea aumentando il rischio di polmonite o portando a soffocamento.

Che cos’è la disfagia

A tutti è successo di “farsi andare di traverso” qualcosa durante un pasto e conosciamo bene il senso di soffocamento che ne deriva.

La disfagia ha a che fare proprio con la respirazione e con il movimento dei muscoli della bocca e del canale digerente. Nel momento in cui si perde la coordinazione di quel meccanismo complesso che è la deglutizione possono nascere dei problemi. Soprattutto se non si tratta di un evento sporadico, ma di qualcosa che succede spesso.

Nella seguente tabella vengono descritte le diverse fasi della deglutizione.

Fase della deglutizione Caratteristiche
Fase orale (volontaria) Preparazione alla deglutizione: attraverso la masticazione e l’insalivazione del cibo si forma il bolo
Fase propulsiva orale (volontaria) La lingua spinge il bolo verso la cavità orale e la laringe
Fase faringea (non volontaria) Dura meno di un secondo ma è cruciale perché a livello della faringe
c’è l’incrocio delle vie aeree con quelle digestive. È in questa fase
che le valvole dovrebbero impedire al cibo di finire nella trachea e
indirizzarlo nella laringe. In questo passaggio c’è una regolazione
nervosa piuttosto complicata che, se non funziona bene, può creare
problemi
Fase esofagea (non volontaria) Grazie a movimenti muscolari, accompagna il bolo nello stomaco

Tra le conseguenze di questo disturbo c’è la malnutrizione, dovuta al rallentamento della masticazione (si verifica soprattutto nei bambini e negli anziani), oppure la polmonite da aspirazione, che si manifesta quando il cibo finisce nelle vie respiratorie invece che in quelle digestive.

Che cosa si nasconde dietro la disfagia

La tosse involontaria mentre si mangia è uno dei sintomi più diffusi della disfagia: se capita spesso non bisogna dare la colpa alla fretta o a una masticazione scorretta, ma rivolgersi al medico per approfondire questo disturbo.

Infatti, la disfagia si manifesta spesso in presenza di malattie neurodegenerative come Parkinson, Alzheimer, demenza, ma anche, seppur in misura minore, Sla e sclerosi multipla. Si tratta di patologie che a un certo punto possono interessare il meccanismo nervoso che regola la deglutizione e dare luogo al disturbo.

Per questo è importante rivolgersi fin da subito a un centro specializzato, che possa effettuare una valutazione multidisciplinare del problema e capire se e come intervenire.

Come migliorare la qualità di vita

Nei casi più gravi di disfagia il paziente non è più in grado di nutrirsi autonomamente ed è necessario ricorrere all’alimentazione artificiale. In quelli meno gravi, tuttavia, si può prestare maggiore attenzione ad alcuni aspetti per migliorare la qualità di vita del paziente, spesso anziano e con altre comorbidità.

La prima accortezza riguarda la postura e il comportamento durante il pasto: meglio mangiare sempre seduti, con le braccia appoggiate su un tavolo o sui braccioli della sedia. Prestare attenzione al cibo, ingerendolo lentamente, senza affrettarsi e senza parlare mentre si mangia.

Per quanto riguarda i cibi, meglio preferire quelli con una consistenza compatta e omogenea. No quindi a pastina in brodo (unisce un liquido a un solido che può andare di traverso), ma anche alimenti (come cracker o biscotti) che con le loro briciole possono andare a incidere su un meccanismo che già non funziona alla perfezione.

Sì invece a creme (dolci o salate), budini, purè o yogurt, a patto di aver consultato un esperto in nutrizione che possa indicare come assumere quotidianamente le corrette quantità di nutrimenti.

Michela Perrone
Michela Perrone
Piemontese di nascita e milanese di adozione, inizia a scrivere durante gli anni del liceo e non smette più. Giornalista pubblicista dal 2010, ha frequentato la facoltà di Scienze della Comunicazione sotto la Mole e un master in Comunicazione della Scienza alla Sissa di Trieste, unendo così la passione per la scrittura a quella per le materie scientifiche. Nel 2015 ha vinto la borsa di studio Monica Andreucci (promossa dalla Fondazione Bracco e dall’Unamsi, l’Unione Nazionale Medico Scientifica d’Informazione) per il giornalismo scientifico. Ha collaborato come freelance per diverse testate nazionali e per alcune agenzie di comunicazione scientifica. Negli ultimi anni si è appassionata al mondo video, lavorando in ambito multimediale con gruppi editoriali che si occupano di scolastica. Lettrice vorace e buona forchetta, è alimentata da un’instancabile curiosità verso il mondo che ha la fortuna di poter soddisfare con il suo lavoro, oltre che nel tempo libero.

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