Terapie per l'ipertrofia prostatica


Non è una condizione grave, ma se non trattata inevitabilmente progredisce e, con il tempo, può dare complicazioni. Ecco quali sono le terapie a disposizione.
L’ipetrofia prostatica, detta anche adenoma prostatico, è una evoluzione benigna della ghiandola che nulla ha a che vedere con il tumore della prostata.
È un disturbo molto comune, dato che si presenta nell’80 per cento degli uomini oltre la cinquantina, e con l’andare del tempo la probabilità di incorrervi aumenta.
Anche se non pericolosa di per sé, l’ipertrofia prostatica benigna (IPB) tende però a peggiorare nel tempo per cui, una volta diagnosticata, si deve tenere sotto controllo.
Non è detto che l’IPB sia sempre legata alla comparsa di sintomi: in alcuni casi sebbene le dimensioni della prostata siano aumentate parecchio si evidenziano soltanto disturbi lievi.
E se il rischio di progressione è basso, le principali linee guida nazionali e internazionali consigliano un atteggiamento attento, di vigile attesa, iniziando una eventuale terapia soltanto nel caso in cui i disturbi si facessero più evidenti.
Qualora si renda necessario, secondo il parere del medico, potranno essere prescritti farmaci oppure la terapia chirurgica.
Sono i farmaci di prima scelta; fanno parte di questa categoria alfuzosina, doxazosina, terazosina e tamsulosin. Agiscono rilassando muscoli nel collo della vescica favorendo così il flusso urinario e migliorando i sintomi da ostruzione.
La loro azione è rapida, ma si mantiene soltanto per il periodo di assunzione del farmaco: cessata la terapia, l’effetto si annulla.
Sono farmaci ad azione antiandrogena (dutasteride e finasteride) che hanno dimostrato di poter ridurre le dimensioni della prostata, diminuendo così la pressione esercitata sull’uretra e l’ostruzione.
I farmaci antiandrogeni sono preferiti soprattutto in caso di prostata particolarmente ingrossata.
Hanno un’azione terapeutica più lenta e lo svantaggio di indurre spesso abbassamento della libido e problemi erettili, una riduzione del numero di spermatozoi nell’eiaculazione e ginecomastia.
Questi farmaci sono anche usati in associazione con gli alfa-bloccanti così da sommare le loro attività che risultano complementari.
Esistono alcune sostanze fitoterapiche che si sono mostrate efficaci nel controllo dei sintomi dell'IPB, quali la Serenoa Repens e il Pygeum Africanum.
Fitoterapico | Proprietà |
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Serenoa Repens | Contrasta l'ingrossamento e l'infiammazione della ghiandola grazie alla sua azione antiandrogenica |
Pygeum Africanum | Ha effetto antinfiammatorio, efficace nelle forme iniziali associate a prostatite |
Anche l'ortica può essere impiegata sfruttando la sua azione antiandrogenica (più blanda rispetto a quella della Serenoa) e quella inibitoria dei fattori di crescita.
In alcuni casi, specie se i disturbi non migliorano sufficientemente dopo terapia farmacologica, può essere necessario il trattamento chirurgico.
Opzione che, talora, può essere scelta anche in prima istanza, a seconda delle esigenze: l’intervento si è dimostrato efficace nel lungo periodo e, in genere, non modifica la capacità erettile.
Tra le tecniche più utilizzate ci sono la resezione transuretrale e la resezione endoscopica (Turp).
Recentemente è stato valutato anche il possibile ruolo nel trattamento dell’IPB degli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5), farmaci usati contro la disfunzione erettile.
Tali sostanze possono aiutare a controllare i sintomi dell’ipertrofia risolvendo nel contempo le disfunzioni sessuali, quando i due disturbi sono concomitanti.