Rosolia: cause, sintomi e terapie

È una malattia tipica dell'infanzia, ma se colpisce una donna in gravidanza può essere molto pericolosa per il nascituro.

La rosolia rientra nel grande gruppo delle malattie esantematiche infantili, vale a dire quelle patologie infettive che colpiscono prevalentemente i più piccoli (di solito tra i 6 e i 12 anni), dovute nella maggior parte dei casi ad agenti virali (tra quelle che fanno eccezione ricordiamo la scarlattina, causata da un batterio) e accomunate dalla comparsa di un esantema, cioè un’eruzione cutanea diffusa, che assume, però, caratteristiche spesso ben specifiche a seconda dell’infezione presa in considerazione.

A differenza di altre malattie esantematiche, però, la rosolia di solito non risulta problematica per i bambini e anzi può anche passare inosservata, mentre diventa pericolosa se colpisce una donna in gravidanza, perché può essere trasmessa al feto. Fortunatamente questo “incontro” si può prevenire. Ma prima di parlare di prevenzione, conosciamo meglio questa malattia.

È scatenata da un virus

L’agente responsabile della rosolia è il Rubella virus, appartenente al genere rubivirus, della famiglia dei Togavirus (Togaviridae). Secondo le attuali conoscenze, ha per ospite esclusivamente l’uomo, quindi si trasmette solo da persona a persona.

Il contagio avviene essenzialmente per via aerea, attraverso le goccioline di saliva infette emesse dalle vie respiratorie tossendo, starnutendo o semplicemente parlando, oppure attraverso il contatto diretto con le secrezioni infette provenienti da naso e gola.

In genere l’infezione risulta contagiosa nella settimana che precede la comparsa dell’esantema e per alcuni giorni successivi alla manifestazione dello sfogo.

Di solito dopo un primo incontro con il virus si sviluppa un’immunizzazione pressoché definitiva verso un eventuale nuovo contagio, quindi è rarissima l’eventualità di ammalarsi una seconda volta.

Come si manifesta

Il virus della rosolia ha un periodo di incubazione di circa 2-3 settimane. Dopo l’incubazione in molti casi i sintomi possono essere assenti o così lievi che l’infezione può passare del tutto inosservata.

Altre volte, invece, si possono manifestare:

  • febbre, anche se non particolarmente elevata
  • mal di testa
  • dolori articolari
  • occhi arrossati
  • esantema caratterizzato da piccole macchie rosate che compaiono prima dietro le orecchie, poi sulla fronte per estendersi quindi a tutto il corpo; l'esatema permane in genere per pochi (2-3) giorni.

Si associa solitamente anche una linfadenopatia, cioè un ingrossamento e gonfiore dei linfonodi del collo, delle orecchie e alla base della nuca.

La malattia ha generalmente un decorso benigno e le complicazioni (come per esempio l’encefalite) sono rare, anche se, come per altre malattie infantili, il rischio risulta maggiore se a contrarla è un adulto.

La rosolia in gravidanza

Se ad ammalarsi di rosolia è una donna in dolce attesa, l’infezione può essere trasmessa, attraverso la placenta, al feto: in questo caso i rischi sono tanto maggiori quanto più precocemente nell’arco della gestazione la donna contrae la patologia.

Se, infatti, la madre si ammala nel primo trimestre di gravidanza, può verificarsi un aborto spontaneo, oppure il nascituro può sviluppare la sindrome congenita da rosolia (o sindrome da rosolia congenita) che comprende una serie di anomalie che si possono manifestare in conseguenza dell’infezione, in particolare:

  • rallentata crescita intrauterina
  • sordità neurosensoriale
  • difetti agli occhi (come cataratta, glaucoma, ecc)
  • malformazioni cardiache e cardiovascolari
  • anomalie neurologiche
  • danni all’encefalo che possono portare a un ritardo mentale.

Se la rosolia è contratta dopo la sedicesima settimana di gravidanza, invece, è molto più raro che l’infezione possa causare danni al feto.

Diagnosi

La diagnosi della rosolia si basa sull’esame del quadro clinico e sul rubeo-test, analisi del sangue che ricerca nel siero la presenza di anticorpi specifici del virus:

  • le immunoglobuline M (IgM), anticorpi prodotti nella fase acuta della malattia e attive per circa 2 mesi dall’infezione
  • le Immunoglobuline G (IgG), che si producono dopo circa 1-2 settimane dall’infezione e restano poi positive a vita.

Il test è quindi particolarmente utile non solo per accertare un’infezione da virus della rosolia in corso o recente, ma anche per valutare l’immunizzazione verso la malattia. Consente cioè di sapere se una persona ha già contratto l’infezione in passato (potrebbe essere passata inosservata) e se è quindi diventata immune o meno. Allo stesso modo può essere utilizzato per valutare se un’eventuale vaccinazione contro la rosolia abbia fornito l’immunizzazione.

Il rubeo-test è quindi sempre fortemente consigliato alle donne che hanno in progetto una gravidanza, prima ancora del concepimento, anche se sono consapevoli di aver contratto la malattia o sanno di essere state sottoposte al vaccino. Con questo test, infatti, possono valutare il proprio grado di immunità acquisita. Se emerge un’immunizzazione insufficiente, la donna ha il tempo di sottoporsi alla vaccinazione, dopo la quale bisogna generalmente aspettare almeno un mese prima di provare a concepire un figlio.

Il rubeo-test, per i motivi suddetti, rientra anche tra gli esami di routine che vengono prescritti alle donne nelle primissime settimane di gestazione, in modo da sapere se la futura mamma è a rischio di contagio o meno. In caso di risultato dubbio viene eseguito anche l’avidity test (o test di avidità delle IgG) che permette di datare l’eventuale infezione.

Le donne in dolce attesa che risultano a rischio perché non immuni non possono sottoporsi alla vaccinazione perché il vaccino contiene virus vivi attenuati, ma possono solo mettere in atto alcuni accorgimenti igienici per cercare di ridurre il rischio di un eventuale contagio, anche se purtroppo il virus si trasmette molto facilmente e può essere difficoltoso individuare la malattia nei bambini.

Le precauzioni, importanti soprattutto se si hanno bambini piccoli, spesso veicolo del virus, comprendono lavarsi frequentemente le mani, non bere dallo stesso bicchiere o usare posate e piatti in comune. Il bambino andrebbe poi lavato e cambiato dal papà o da un parente. Per chi lavora in una comunità infantile o in un asilo, queste cautele diventano ancora più necessarie. In caso di non immunità, inoltre, il rubeo-test va ripetuto durante i nove mesi, fino al parto, a cadenze regolari e comunque in qualsiasi momento si sospetti un possibile contagio da rosolia.

Se si sospetta o si accerta un’infezione da rosolia nel corso di una gravidanza, sono indicati un accurato monitoraggio ecografico della morfologia del feto e una ecocardiografia fetale.

Non c’è una cura specifica

Contro la rosolia non esiste una terapia specifica, anche se si può eventualmente ricorrere all’uso di paracetamolo per abbassare la febbre. Normalmente comunque l’infezione guarisce da sé in pochi giorni.

Se ad ammalarsi è una donna in gravidanza, la gestione va affidata a un équipe multidisciplinare che comprenda, oltre al ginecologo e all’infettivologo, anche il pediatra, il neonatologo e il teratologo (medico che si occupa delle malformazioni congenite).

Un vaccino per la prevenzione

La rosolia si può prevenire grazie a un vaccino, costituito dal virus vivo attenuato, cioè un virus trattato in modo che possa mantenere la capacità di stimolare le difese immunitarie del soggetto, ma senza scatenare l’infezione.

Proprio per gli alti rischi in gravidanza, fino al 1999, in Italia, la vaccinazione anti-rosolia veniva praticata alle bambine in età pre-puberale (10-13 anni), ma poi si è ritenuta più valida come strategia per limitare la circolazione del virus quella di vaccinare tutti i bambini nel secondo anno di vita con il vaccino trivalente MPR (che comprende anche il vaccino contro il morbillo e quello contro la parotite) e di somministrarne una seconda dose entro i 5-6 anni di età.

Attualmente, l’anti-rosolia rientra tra le vaccinazioni rese obbligatorie dal decreto vaccini del 2017 e, per i nati dal 2018, può essere somministrata con il tetravalente (al trivalente già descritto è aggiunto anche il vaccino contro la varicella): la prima dose è prevista tra il tredicesimo e il quindicesimo mese di vita, mentre la seconda a sei anni.

Trattandosi di un vaccino contenente virus vivi attenuati, non va somministrato a soggetti con un deficit delle difese immunitarie (per esempio che assumono farmaci immunosoppressori), oltre che alle donne in gravidanza.

Uno degli obiettivi del Piano d‘azione europeo per le vaccinazioni 2015-2020 consiste nell’eliminazione della rosolia e della sindrome da rosolia congenita. Per monitorare l’efficacia dei programmi vaccinali e i progressi verso l’eliminazione del virus, in Italia è attivo un sistema nazionale di sorveglianza della rosolia congenita e delle infezioni da rosolia in gravidanza, che dal 2005 sono incluse tra le malattie infettive che devono essere obbligatoriamente notificate.

Sul portale Epicentro dell’Istituto superiore di sanità è così possibile visualizzare i rapporti periodici del sistema di sorveglianza. L’ultimo attualmente disponibile (relativo al periodo gennaio 2005-febbraio 2018) riporta 88 casi di rosolia congenita, di cui 80 confermati e 8 probabili, e 173 casi di rosolia in gravidanza, di cui 160 confermati, 9 probabili e 4 possibili.

Nel 2017, in particolare, sono stati segnalati due casi confermati di rosolia congenita e un caso confermato di rosolia in gravidanza, mentre nei primi due mesi del 2018 è stato segnalato un caso confermato di rosolia congenita e non c’è stata alcuna segnalazione di rosolia in gravidanza. Dal 2013 l'incidenza di rosolia congenita è inferiore a un caso ogni centomila nati vivi, ma, come sottolinea il rapporto citato, in virtù dell’andamento ciclico-epidemico della rosolia, non si può abbassare la guardia.

Valeria Ghitti
Valeria Ghitti
Nata sulle sponde bresciane del lago d’Iseo con la passione per il giornalismo nelle vene, comincia, nell’estate del 2000, freschissima di diploma al liceo classico, a muovere i primi passi nella redazione di un service giornalistico milanese, e a collaborare così con testate nazionali femminili e di salute. Nello stesso periodo inizia il percorso universitario in Scienze della comunicazione a Trieste, che prosegue parallelamente al lavoro. Diventata giornalista pubblicista nel 2003, porta avanti collaborazioni con numerose testate della carta stampata, per lo più settimanali e mensili a tiratura nazionali, ma anche testate online e radiofoniche, occupandosi di salute (dall’alimentazione alla sessualità, dalla medicina al benessere, alla psicologia), divulgazione scientifica, bellezza, ambiente, stili di vita e gossip. Negli anni affianca all’attività giornalistica quelle di ufficio stampa (soprattutto nell’ambito turistico, della cultura e dello spettacolo), di correttrice di bozze, di ghostwriter e di web content editor e, più recentemente, quella di mamma. Freelance praticamente da sempre e ormai a un passo dalla laurea, dal 2016 può annoverare tra le sue collaborazioni anche quella con SapereSalute.it

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