Perdite in gravidanza

Non sempre le perdite ematiche indicano una prognosi sfavorevole, ma è comunque opportuno rivolgersi al proprio ginecologo per valutare la necessità di accertamenti o terapie.

Variazioni della temperatura basale, nausea, sonnolenza, tensione al seno e il bisogno più frequente di urinare sono disturbi che compaiono con una certa frequenza durante la gravidanza. A questi si aggiunge l’aumento di peso, che la futura mamma può tenere sotto controllo seguendo un’alimentazione variata e i consigli del ginecologo, che, conoscendo lo stato di salute della donna, darà le indicazioni più utili per la dieta.

A volte, anche l’allattamento può risultare difficile perché i capezzoli sono dolenti e la poppata può essere difficoltosa.

Per fortuna, tutti questi inconvenienti non devono preoccupare la futura mamma in quanto si tratta di situazioni del tutto normali e destinate a scomparire.

Tra gli inconvenienti più frequenti per chi è in dolce attesa ci sono anche le perdite di sangue, che si possono manifestare dopo giorni o settimane dal concepimento, sia naturale sia dopo fecondazione assistita, e ritenute tra i sintomi di un’avvenuta gravidanza. Bastano però poche gocce di sangue per far preoccupare una donna incinta, perché diventa pressante la paura di perdere il figlio. In questi casi, meglio quindi rivolgersi a un medico, che potrà rassicurare la paziente o decidere di sottoporla ad accertamenti.

Cause e conseguenze possono essere molto diverse fra loro, soprattutto a seconda del periodo di gestazione in cui si verificano.

Inoltre, in base al calcolo dell’inizio della gravidanza, le perdite possono assumere diversi significati e non sempre devono destare preoccupazione.

Durante le prime settimane di gestazione, si possono avere perdite per il distacco del trofoblasto, una specie di placenta che garantisce il nutrimento all’embrione. Sebbene il più delle volte questo problema non comprometta la crescita del feto, è bene accertarne la natura.

Altre volte, le perdite possono essere dovute alle cosiddette “false mestruazioni”, cioè lievi perdite all’incirca nei giorni in cui sarebbe dovuta avvenire l’ovulazione o il ciclo mensile.

In altri casi eventuali tracce rosse sugli slip possono essere invece dovute alla presenza di polipi, varici, piccole ragadi o emorroidi. In questi casi, quindi, non indicano che qualcosa non va per il verso giusto nel decorso della gravidanza e la cura va prescritta dopo un’attenta visita. Se i disturbi sono lievi e il ginecologo lo ritiene opportuno, la donna può continuare a fare la vita di sempre.

Diversi significati

Le perdite ematiche possono essere distinte da un punto di vista qualitativo e quantitativo.

Il colore può andare dal rosato, al rosso vivo fino al marrone: nel primo caso si tratta di una perdita molto esigua, che mescolandosi alle normali secrezioni vaginali, tende ad assumere un colore più chiaro rispetto al rosso vivo, che indica invece una perdita abbastanza cospicua e recente.
Se invece tende al marrone, significa che l’emissione del sangue attraverso la vagina è stata lenta, dando il tempo ai fenomeni di ossidazione di modificarne il colore.

Se le perdite sono dense e maleodoranti, oppure hanno un colore verdastro, giallastro o biancastro simile a ricotta, è presente bruciore e prurito, è bene rivolgersi a un ginecologo che prescriverà un tampone. Queste perdite, infatti, potrebbero dipendere da un’infezione vaginale, che va curata al più presto per evitare che i germi possano risalire dalla vagina fino al collo dell’utero, aumentando in alcuni casi il rischio di parto prematuro.

In termini di quantità, le perdite possono andare da poche gocce delle quali ci si accorge solo urinando, a vere e proprie emorragie con coaguli di sangue: una perdita di maggiore entità, rispetto a una più esigua, non è però sempre indice di una prognosi più sfavorevole. A volte, perdite minime indicano una gravidanza interrotta, mentre altre volte copiose emorragie non compromettono l’andamento della gravidanza e il benessere del feto.

Le perdite, infine, possono limitarsi a un unico episodio o ripetersi in più occasioni. Qualunque siano le caratteristiche, è bene non allarmarsi, ma consultare il ginecologo, che valuterà se è il caso di approfondimenti e di eventuali terapie. Nel caso si tratti di emorragie molto abbondanti, invece, è opportuno recarsi in ospedale.

Primo trimestre

Nei primi 3 mesi di gestazione, le cause dei sanguinamenti spesso non indicano particolari problemi.
Se sono di colore marrone, non sono abbondanti, non provocano dolore, possono essere le cosiddette” perdite da impianto”, dovute all’insediamento nell’utero dell’uovo fecondato.

Diverso è il caso in cui le perdite siano più abbondanti e di colore rosso vivo, specie se è presente anche dolore pelvico. In questi casi potrebbero indicare una minaccia d’aborto o una non completa adesione della placenta alla parete uterina, condizione da verificare con particolari test ed esami.

In genere, i sanguinamenti possono essere:

- il cosiddetto “segno della morula”, ovvero l’impianto dell’embrione nell’utero a livello dell’endometrio, che può causare la rottura di qualche capillare e quindi una minima perdita di sangue, del tutto innocua

- la presenza di un polipo a livello della cervice o di un ectropion (una piccola estroflessione della mucosa endocervicale, detta comunemente “piaghetta”), o la rottura di una varice o di un capillare. In questi casi il sanguinamento può verificarsi più facilmente in seguito a un rapporto sessuale, anche in fasi più avanzate della gravidanza, e non ha alcuna conseguenza sulla salute del feto

- una minaccia d’aborto, dovuta al cosiddetto distacco amniocoriale, da non confondersi con il distacco di placenta, che avviene in una fase più avanzata della gravidanza. Si tratta di uno scollamento dei due tessuti che formano la placenta, ovvero il sacco amniotico e il sacco coriale, in occasione del quale, oltre a perdite ematiche, può comparire anche dolore addominale. Nella maggior parte dei casi il distacco si risolve spontaneamente; in altri sarà necessario seguire alcune indicazioni del ginecologo, che può raccomandare la somministrazione di progesterone o semplicemente di restare a riposo e non compiere sforzi. In altri, purtroppo, si va incontro a un vero e proprio aborto, che avviene più di frequente quando le perdite risultano molto abbondanti e tendono a proseguire per diversi giorni

- una gravidanza extrauterina (o ectopica), che si verifica quando l’ovulo appena fecondato si impianta al di fuori della cavità uterina, per esempio in una tuba o a livello della cervice. In questo caso le perdite ematiche sono molto frequenti e si associano all’impossibilità di visualizzare ecograficamente la camera gestazionale all’interno della cavità uterina. Le gravidanze ectopiche non possono essere portate a termine e rappresentano un pericolo per la gestante: se non riconosciute per tempo, possono infatti causare gravi emorragie dovute per esempio alla rottura della tuba in cui si è annidato l’embrione. In questo caso potrebbe essere necessario un intervento chirurgico; se invece la diagnosi avviene precocemente, il ginecologo potrà valutare una terapia a base di metotrexate.

Secondo e terzo trimestre

Sono problemi a livello della placenta a determinare più di frequente il sanguinamento vaginale negli ultimi due trimestri di gravidanza. Le cause possono essere:

- un distacco della placenta dalle pareti dell’utero, che avviene fisiologicamente dopo la nascita del bambino (secondamento), ma che si può verificare anche durante la gestazione, determinando appunto perdite ematiche, la cui entità è direttamente proporzionale all’estensione del distacco. Nel caso si tratti di un’area limitata, è possibile che la prognosi sia favorevole e la gravidanza prosegua senza conseguenze per il feto. Nel caso invece di un distacco molto esteso, è opportuno un intervento tempestivo per salvaguardare la salute sia della futura mamma sia del feto; in alcuni casi è possibile che si renda necessario effettuare d’urgenza un parto cesareo.

- la cosiddetta placenta previa, ovvero l’impianto della placenta non nella parte superiore, ma in quella inferiore dell’utero, in prossimità o in corrispondenza dell’orifizio del canale cervicale, attraverso il quale transita il feto durante il parto. Il sanguinamento sarà causato anche in questo caso da uno scollamento della placenta: la parte inferiore dell’utero tende infatti ad aumentare di dimensione man mano che la gravidanza procede; la placenta è invece costituita di un tessuto inestensibile, che quindi non potrà seguire l’espansione dell’utero, e dal quale inevitabilmente si distaccherà. Ecco perché le perdite ematiche dovute alla placenta previa si verificano solo nelle fasi più avanzate della gravidanza; una volta diagnosticata, la gestante sarà costantemente monitorata, per valutare il momento in cui sarà opportuno effettuare il parto cesareo.

È possibile infine che si verifichino piccole perdite di sangue in prossimità del termine della gestazione, spesso in corrispondenza alla fuoriuscita del tappo mucoso, che indica l’avvicinarsi dell’inizio del travaglio. Dopo la 36a settimana, infatti, le perdite possono essere causate dalla dilatazione del collo dell’utero che si sta preparando alla nascita del bambino. Durante il travaglio, inoltre, il collo dell’utero può sanguinare anche per modificazioni dovute alle contrazioni.

In sintesi, ecco a confronto le cause di sanguinamento nel primo e nel secondo e terzo trimestre di gravidanza.

Primo trimestre Secondo e terzo trimestre
“Segno della morula” Distacco della placenta
Presenza di un polipo a livello della cervice o di un ectropion Placenta previa
Rottura di una varice o di un capillare Fuoriuscita del tappo mucoso
Minaccia d’aborto Dilatazione del collo dell’utero in preparazione alla nascita
Gravidanza extrauterina

Lisa Trisciuoglio
Lisa Trisciuoglio
Milanese di nascita, cresce alle porte della metropoli, dove ritorna per frequentare la Facoltà di Scienze biologiche all’Università statale di Milano. Fin dalla tesi di laurea decide di dedicarsi alla ricerca scientifica, prima all’Istituto europeo di oncologia, poi in un laboratorio del Dibit, all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove consegue un PhD in biologia cellulare e molecolare. In quegli anni, accanto alla passione per la ricerca, matura anche l’interesse per la divulgazione scientifica. Al termine del PhD, decide infatti lasciare il camice e le provette per entrare nel mondo dell’editoria medico-scientifica. Durante lo svolgimento del Master in “Comunicazione e salute: dall’informazione alla formazione”, presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, fa la sua prima esperienza in un’agenzia di comunicazione scientifica, e da quel momento intraprende diverse collaborazioni nell’ambito della medicina e della salute, sia verso il grande pubblico sia nei confronti del medico e del farmacista. Nel frattempo, inizia anche la sua avventura di mamma, prima di Anna e dopo qualche anno del piccolo Giacomo. Da quel momento in poi la sua vita si divide fra la famiglia e il lavoro, che continua a svolgere come freelance per diverse agenzie di comunicazione ed editoria scientifica.

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