Iodio in gravidanza: serve davvero?

La sua carenza viene spesso sottovalutata, ma lo iodio è indispensabile per la crescita e lo sviluppo del feto e del neonato.

Quando si parla di gravidanza ci si preoccupa spesso di una possibile carenza di ferro, trascurando invece l’importanza di mantenere adeguati livelli di un’altra sostanza essenziale per garantire la buona salute non solo della futura mamma, ma soprattutto del feto: lo iodio.

Il “carburante” della tiroide

Lo iodio è indispensabile per il buon funzionamento della tiroide in quanto rappresenta il costituente principale degli ormoni tiroidei T3 e T4.

Questi ormoni regolano processi metabolici importanti per tutta la durata della vita, fin dalla crescita intrauterina, nel corso della quale sono essenziali per il corretto sviluppo dei diversi organi del feto, e in particolare del cervello.

Nel caso l’organismo non abbia però a disposizione quantità sufficienti di iodio, la tiroide non sarà più in grado di assicurare livelli adeguati dei due ormoni: questa carenza avrà effetti diversi a seconda della fase della vita in cui si verifica.

Ma le conseguenze più gravi sono sicuramente quelle a carico del feto o dei bambini sotto i 3 anni: limitate quantità di iodio durante lo sviluppo fetale o neonatale possono infatti portare, nei casi più gravi, a danni per il cervello e per tutto il sistema nervoso centrale e, di conseguenza, a un ritardo mentale o a deficit intellettivi minori.

Lo iodio non si respira, si mangia!

Al contrario di quanto molti ancora credono, respirare l’aria di mare non permette di assumere iodio, che è presente nell’atmosfera in quantità solo trascurabili; questa sostanza si accumula invece nelle rocce, nel terreno e nei mari.

Lo iodio contenuto nelle acque viene assorbito soprattutto dalle alghe, dai pesci e dai crostacei, mentre quello del terreno dalle piante.

Ecco perché la fonte principale di iodio non è rappresentata dall’aria, ma dagli alimenti: ne contengono maggiori quantità i pesci di mare e i crostacei, seguiti da latte, latticini, uova e, in minor misura, da frutta e verdura.

A patto naturalmente che i vegetali siano cresciuti in terreni ricchi di questo elemento e che latte e uova derivino da animali che abbiano assunto a loro volta alimenti che ne contengano quantità sufficienti.

Per raggiungere livelli adeguati di iodio con la dieta è molto utile anche condire gli alimenti con il cosiddetto “sale iodato”, ovvero comune sale da cucina a cui sono stati aggiunti sali di iodio, senza però alterarne l’aspetto, l’odore o il sapore.

Lo iodio necessario per assicurare il buon funzionamento della tiroide in un adulto è pari a 150 mcg al giorno, per raggiungere i quali è sufficiente bere quotidianamente una tazza di latte, utilizzare il sale iodato, senza naturalmente eccedere, e mangiare pesce marino o crostacei 2-3 volte alla settimana.

Attenzione però perché durante la gravidanza e l’allattamento il fabbisogno di iodio sale a circa 250 mcg al giorno.

Perché ce ne vuole di più

La gestazione e l’allattamento sottopongo la tiroide a un lavoro extra in quanto sono necessarie quantità maggiori di ormoni tiroidei per riuscire a soddisfare le richieste non solo della mamma, ma anche del bambino.

In previsione di una gravidanza, e soprattutto nei primi mesi di gestazione, è quindi particolarmente importante evitare una carenza di iodio, che può essere ragionevolmente esclusa utilizzando sale iodato e seguendo una dieta adeguata.

Se però esiste anche solo il sospetto di una carenza è opportuno valutare con il ginecologo la possibilità di assumere supplementi ad hoc che permettano di integrare lo iodio mancante fin dai mesi che precedono il concepimento, per poi proseguire per tutta la durata della gravidanza e durante l’allattamento.

Lisa Trisciuoglio
Lisa Trisciuoglio
Milanese di nascita, cresce alle porte della metropoli, dove ritorna per frequentare la Facoltà di Scienze biologiche all’Università statale di Milano. Fin dalla tesi di laurea decide di dedicarsi alla ricerca scientifica, prima all’Istituto europeo di oncologia, poi in un laboratorio del Dibit, all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove consegue un PhD in biologia cellulare e molecolare. In quegli anni, accanto alla passione per la ricerca, matura anche l’interesse per la divulgazione scientifica. Al termine del PhD, decide infatti lasciare il camice e le provette per entrare nel mondo dell’editoria medico-scientifica. Durante lo svolgimento del Master in “Comunicazione e salute: dall’informazione alla formazione”, presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, fa la sua prima esperienza in un’agenzia di comunicazione scientifica, e da quel momento intraprende diverse collaborazioni nell’ambito della medicina e della salute, sia verso il grande pubblico sia nei confronti del medico e del farmacista. Nel frattempo, inizia anche la sua avventura di mamma, prima di Anna e dopo qualche anno del piccolo Giacomo. Da quel momento in poi la sua vita si divide fra la famiglia e il lavoro, che continua a svolgere come freelance per diverse agenzie di comunicazione ed editoria scientifica.

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