Allattamento: che fare se il latte non basta

In alcuni casi si tratta soltanto di una sensazione della neomamma, ma se il piccolo non cresce a sufficienza è bene consultare il pediatra.

L’allattamento al seno è considerato la naturale prosecuzione del rapporto che si crea tra mamma e bambino durante i 9 mesi della gravidanza. È un modo per conoscersi e per stabilire un legame unico e speciale, ma anche per fornire al neonato il nutrimento più adeguato ai primi mesi di vita. E non solo: vediamo nella seguente tabella quali sono gli altri benefici per mamma e bambino.

Benefici per la mamma Benefici per il bambino
Quanto più comincia precocemente, accelera la ripresa dal parto e
l’involuzione dell’utero e riduce il rischio di emorragia e di mortalità
Riduce l’incidenza e la durata delle gastroenteriti
Riduce la perdita di sangue, contribuendo così a mantenere il bilancio del ferro protegge dalle infezioni acute (polmonite, otiti, infezioni da Haemophilus influenzae, meningiti e infezioni urinarie)
Prolunga il periodo di infertilità post parto Riduce il rischio di sviluppare allergie
Favorisce la perdita di peso e il recupero del peso forma Migliora la vista e lo sviluppo psicomotorio
Riduce il rischio di cancro della mammella prima della menopausa e il cancro dell’ovaio Migliora lo sviluppo intestinale e riduce il rischio di occlusioni
Riduce il rischio di osteoporosi. Protegge da condizioni croniche come il diabete tipo 1, la colite ulcerativa e la malattia di Crohn
è associato a più bassi livelli di pressione del sangue e colesterolo
totale, e con una ridotta prevalenza di diabete tipo 2 e di sovrappeso
ed obesità durante l’adolescenza e la vita adulta

Non sempre però l’allattamento viene vissuto serenamente perché, oltre alla stanchezza dei primi mesi e ai dolori in caso di ingorghi e ragadi, spesso le neomamme si domandano ansiose “ma il mio latte basterà?”.

Il latte si produce allattando

Il meccanismo che regola la produzione del latte materno si basa su un vero e proprio circolo: più il bambino succhia, più latte viene prodotto. Ciò accade perché entrano in gioco due ormoni, la prolattina e l’ossitocina, prodotti fisiologicamente subito dopo la nascita del neonato, e successivamente in risposta all’allattamento.

La prolattina stimola la ghiandola mammaria a produrre il latte e viene sintetizzata dall’ipofisi in seguito al cosiddetto “riflesso prolattinico”: quando il bambino si attacca al seno e succhia viene indotta la sintesi di questo ormone, che entra in circolo e dà il via alla produzione di latte per la poppata successiva. Perciò, se i livelli di prolattina non vengono mantenuti alti da una frequente suzione del bambino, il latte comincerà progressivamente a scarseggiare.

L’ossitocina ha invece il compito di stimolare la contrazione delle cellule della ghiandola mammaria a livello delle quali viene prodotto il latte, in modo che questo arrivi fino ai cosiddetti seni galattofori, dai quali il neonato, succhiando il capezzolo, estrae il latte.

Perché tutto ciò funzioni senza intoppi è quindi essenziale non solo che il neonato venga allattato con una certa frequenza e regolarità, ma anche che si attacchi al capezzolo in maniera corretta: in caso contrario, il seno non verrà completamente svuotato, e di conseguenza verrà inibita la successiva produzione di latte per evitare di riempire eccessivamente il seno e incorrere nel rischio di ingorghi o di mastite.

Quando si tratta di un falso allarme

Il motivo principale che induce le neomamme a smettere di allattare al seno per passare al latte in formula è la convinzione che il bambino non riceva nutrimento a sufficienza.

Uno dei fattori che fa pensare a una scarsa produzione di latte è la sensazione di non avere più il seno gonfio e turgido come nelle primissime settimane di vita del bambino. In realtà, questo è un fenomeno del tutto fisiologico, dovuto al fatto che con il tempo l’organismo materno è in grado di regolare la produzione di latte in base alle richieste del bambino.

Un altro campanello d’allarme è l’irrequietezza, soprattutto serale, del bambino: il pianto o la richiesta di attaccarsi con frequenza al seno possono essere, come non essere, segnali di fame. È infatti possibile che il neonato pianga a causa di altri fattori, come per esempio le coliche gassose, e che si attacchi al seno non per la necessità di nutrirsi, ma perché alla ricerca di quel conforto che la suzione e il contatto con la madre possono dargli.

Un terzo “falso allarme” è rappresentato dai cosiddetti scatti di crescita: si tratta di momenti della vita del neonato (che si verificano di solito intorno alle 2-3 settimane, alle 6 settimane e ai 3 mesi di età) durante i quali aumenta il suo fabbisogno di nutrienti e il neonato richiede quindi di attaccarsi al seno con maggiore frequenza. In questi casi è però sufficiente assecondare le sue richieste per alcuni giorni, in modo che l’organismo materno si adegui ai nuovi bisogni aumentando la produzione di latte.

Come capire se il latte non basta

Prima di arrivare alla conclusione che il latte non basta, è sempre consigliabile rivolgersi al proprio pediatra, che può effettivamente verificare se i timori materni siano o meno fondati.

A questo scopo esistono dei parametri molto utili: in primo luogo è fondamentale controllare la sua crescita in termini di peso, che nei primi mesi dovrebbe attestarsi intorno ai 150-200 grammi settimanali.

Un altro fattore da considerare è il numero di pannolini che la mamma dovrà cambiare quotidianamente perché bagnati di pipì: se il neonato succhia a sufficienza, dal quinto giorno saranno almeno sei.

Infine, anche l’aspetto del bambino potrà dare delle indicazioni: quando l’allattamento si dimostra efficace e il neonato è in buona salute, allora il suo colorito sarà roseo e il piccolo si dimostrerà vivace e attivo.

Insistere o rinunciare?

Se, analizzando i fattori sopraelencati, il pediatra arriva alla conclusione che l’allattamento materno non è sufficiente per nutrire adeguatamente il neonato, è possibile che proponga alle neomamme tre alternative:

  • tentare di incrementare la produzione di latte materno
  • proseguire con un allattamento “misto”
  • nutrire in maniera esclusiva il proprio bambino con biberon e latte in formula.

Nel primo caso, il consiglio sarà quello di favorire il contatto fra mamma e bambino e di attaccarlo al seno più di frequente, assecondandone le richieste anche se molto ravvicinate, o proponendo il seno dopo non più di 2-3 ore dalla poppata precedente anche se il neonato non manifesta ancora il desiderio di mangiare.

Da non sottovalutare anche il benessere psicofisico della mamma, fondamentale per un’adeguata produzione di latte: è quindi importante seguire un’alimentazione sana ed equilibrata e cercare di riposare il più possibile e di evitare qualunque tipo di stress.

Pur non essendo un rimedio scientificamente testato, alcune donne si affidano anche all’assunzione di tisane a base di erbe considerate in grado di stimolare la produzione di latte, come per esempio il fieno greco o la Galega officinalis.

Le alternative all’allatamento al seno

Se, nonostante questi consigli, la produzione di latte non aumenta e il bambino non cresce come dovrebbe, il primo passo potrebbe essere quello di integrare il latte materno inserendo delle aggiunte o delle intere poppate di latte artificiale.

L’allattamento misto ha il vantaggio di assicurare al bambino i benefici del latte materno, ma al contempo anche di poter monitorare con certezza la quantità di latte in formula che il bambino assume ogni giorno.

Se però anche abbinando le due modalità di allattamento i risultati in termini di benessere e crescita del bambino non fossero considerati dal pediatra soddisfacenti, allora sarà opportuno ridurre progressivamente le poppate al seno fino a passare a un allattamento esclusivamente artificiale.

Lisa Trisciuoglio
Lisa Trisciuoglio
Milanese di nascita, cresce alle porte della metropoli, dove ritorna per frequentare la Facoltà di Scienze biologiche all’Università statale di Milano. Fin dalla tesi di laurea decide di dedicarsi alla ricerca scientifica, prima all’Istituto europeo di oncologia, poi in un laboratorio del Dibit, all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove consegue un PhD in biologia cellulare e molecolare. In quegli anni, accanto alla passione per la ricerca, matura anche l’interesse per la divulgazione scientifica. Al termine del PhD, decide infatti lasciare il camice e le provette per entrare nel mondo dell’editoria medico-scientifica. Durante lo svolgimento del Master in “Comunicazione e salute: dall’informazione alla formazione”, presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, fa la sua prima esperienza in un’agenzia di comunicazione scientifica, e da quel momento intraprende diverse collaborazioni nell’ambito della medicina e della salute, sia verso il grande pubblico sia nei confronti del medico e del farmacista. Nel frattempo, inizia anche la sua avventura di mamma, prima di Anna e dopo qualche anno del piccolo Giacomo. Da quel momento in poi la sua vita si divide fra la famiglia e il lavoro, che continua a svolgere come freelance per diverse agenzie di comunicazione ed editoria scientifica.

Articoli correlati

Pubblicità

Gli articoli più letti

I servizi per te
Farmaci a domicilio
Prenota una visita