Fibrillazione atriale: come ci si accorge?

Non sempre dà sintomi, ma quando ci sono è bene fare subito i controlli. E, se serve, iniziare per tempo una terapia anticoagulante.

La frequenza cardiaca a riposo varia in funzione dell'età:

Fascia d'età Frequenza cardiaca a riposo
Neonati Da 80 a 180 bpm
Bambini Da 80 a 100 bpm
Adolescenti Da 70 a 120 bpm
Adulti (con una minima differenza tra l’uomo e la donna) Da 60 a 90 bpm

Se in condizioni normali il ritmo cardiaco a riposo di un adulto è di 60-90 pulsazioni al minuto, ci sono situazioni nelle quali i battiti degli atri accelerano vorticosamente, fino ad arrivare anche a 600 ogni minuto.

Si parla in tal caso di fibrillazione atriale, una aritmia relativamente frequente, che colpisce in prevalenza gli anziani sopra i settant’anni, ma non soltanto.

Il ritmo accelerato e scomposto che la caratterizza interferisce con il corretto riempimento del ventricoli e, quindi, con la distribuzione del sangue agli organi.

Senza di solito mettere in pericolo la vita di chi ne soffre.

Tuttavia, se il disturbo si protrae per un certo periodo di tempo, può provocare danni al muscolo cardiaco, con comparsa di scompenso o, addirittura, di edema polmonare.

Ma, soprattutto, si ha un aumento del rischio di ictus: nelle persone con fibrillazione atriale è di molto superiore rispetto a chi non presenta disturbi cardiaci.

Spesso rimane silente

La fibrillazione degli atri si presenta con un’improvvisa impennata dei battiti cardiaci che divengono accelerati e irregolari. Chi ne viene colpito talvolta riferisce di sentire “il cuore in gola”.

Ma non sempre questa aritmia dà segni riconoscibili. Capita addirittura, che chi ne soffre, soprattutto se è giovane, non si accorga di nulla anche per mesi. E che si scopra per caso, magari durante una visita eseguita per tutt’altra ragione. Con lo svantaggio di una diagnosi tardiva.

Per evitare conseguenze temibili, come l’ictus, il normale ritmo del cuore dovrebbe infatti essere ripristinato entro 48 ore: dopo questo periodo di tempo il rischio che si formino trombi, e quindi emboli, comincia a impennarsi.

Segnali d’allerta

Oltre a manifestarsi con palpitazioni percepibili, i battiti accelerati e irregolari degli atri rendono il cuore incapace di adattarsi ad alcune normali situazioni quotidiane.

Una condizione che può portare a sintomi quali:

  • debolezza o spossatezza ingiustificate
  • mancanza di respiro a seguito di normali sforzi, come salire le scale
  • capogiri o senso di stordimento
  • sensazione di svenimento o vertigini
  • dolore o senso di costrizione al petto
  • perdita temporanea della vista.

Controlli medici

I segnali d’allarme non devono essere sottovalutati: meglio riferirli subito al medico affinché possa anzitutto controllare il polso.

In caso di polso irregolare e tachicardico, la diagnosi di fibrillazione atriale è molto probabile. Un elettrocardiogramma potrà confermare tale sospetto.

Importante sarebbe poi riuscire a identificare con certezza, attraverso l’anamnesi, il momento di insorgenza dell’aritmia. Cosa piuttosto difficile in tutti quei casi nei quali i sintomi sono molto sfumati o addirittura assenti.

La scelta del trattamento

Episodi saltuari di fibrillazione atriale possono risolversi spontaneamente. Ma a volte, specie in presenza di sintomi particolarmente invalidanti, è necessario ripristinare il normale ritmo del cuore.

Nei casi in cui l'inizio dell’aritmia è reso riconoscibile dai sintomi, entro le 48 ore successive può essere avviata senz’altro una terapia farmacologica con antiaritmici o una cardioversione elettrica.

Se, al contrario, la fibrillazione potrebbe essere presente da più di 48 ore esiste una probabilità troppo elevata che si siano già formati trombi atriali.

Sarà pertanto necessario instaurare un adeguato trattamento anticoagulante prima di decidere se e come agire sul ritmo cardiaco.

Peraltro, non sempre gli interventi attuati per riportare alla norma le contrazioni atriali sono efficaci, rendendo i farmaci anticoagulanti indispensabili per lunghi periodi o anche per sempre.

Una scelta terapeutica non sempre facile, che deve essere individualizzata tenendo conto delle condizioni cliniche e dei fattori di rischio di ciascuno.

Susanna Trave
Susanna Trave
Nasce a Milano, dove vive da allora. Dopo aver pensato di fare la giornalista prima e l'architetto poi, alla fine segue le orme della famiglia (che nel codice genetico ha la chimica) e si iscrive a Chimica e Tecnologia Farmaceutiche. Si laurea alla Statale di Milano e, appassionatasi alla materia, mentre lavora come borsista all'Università frequenta, nel medesimo Ateneo, il triennio di Specializzazione in Endocrinologia Sperimentale, specializzandosi nel 1987. Nel 1988 consegue l’Abilitazione all’esercizio della professione di Farmacista.Ma la sua curiosità e la passione - mai sopita - per il giornalismo la portano ad accettare con entusiasmo un posto in una casa editrice scientifica. Da quel momento inizia la carriera giornalistica che la porterà a diventare pubblicista prima e giornalista professionista poi, dopo il superamento dell'Esame di stato nel 1999.Lavora da allora sia per testate rivolte al medico sia in riviste dedicate al grande pubblico, prima come dipendente e, più avanti, come freelance.Oltre che di salute e benessere è appassionata di sport e di animali. Sposata, ha due figli, ormai grandi, quattro gatti, due cani, un cavallo e una vita sempre in movimento.

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