Epicondilite: cause e terapie

Nota come gomito del tennista, questo problema di salute in realtà non riguarda solo gli appassionati di tennis. Ecco come riconoscerla e affrontarla.

Il gomito è un'articolazione molto importante che unisce avambraccio (porzione compresa tra gomito e polso) e braccio (porzione compresa tra spalla e gomito) e che ci permette di compiere movimenti preziosi per la vita di tutti i giorni: ecco perché anche un lieve dolore può risultare molto fastidioso.

Il gomito ha una struttura particolarmente complessa: è costituito da ben tre diverse articolazioni (denominate omero-radiale, omero-ulnare e radio-ulnare) tenute insieme da una sola capsula articolare rafforzata da due legamenti collaterali, esterno e interno.

All’origine di un sintomatologia dolorosa del gomito ci possono quindi essere diverse cause, ma una delle più note e frequenti è la cosiddetta epicondilite, più comunemente conosciuta con la definizione di “gomito del tennista”. Ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.

Che cosa è l’epicondilite

«Si tratta di una tendinite, cioè di un’infiammazione tendinea associata a contrattura muscolare, che si sviluppa nel punto in cui i tendini epicondiloidei si inseriscono sull’omero.

In particolare, a essere interessato è il tendine che si inserisce sopra l'articolazione del gomito, sul lato esterno del braccio, che fa da collegamento tra il muscolo estensore radiale breve del carpo e l’epicondilo laterale omerale, una piccola sporgenza ossea posta sopra il condilo dell’omero» spiega Andrea Grasso, chirurgo ortopedico e traumatologo dell'Istituto neurotraumatologico italiano.

Se, invece, viene interessato il tendine che si inserisce sul lato interno del braccio, si parla di epitrocleite, nota anche come gomito del golfista.

Epicondilite Tendine che si inserisce  sul lato esterno del braccio
Epitrocleite Tendine che si inserisce sul lato interno del braccio

«L’infiammazione, se non curata subito, tende poi con il tempo a evolvere in una tendinosi, ossia un’affezione degenerativa dei tendini» aggiunge il medico.

All’origine del problema

Il gomito del tennista è considerato una sindrome da sovraccarico funzionale, ossia conseguenza di microtraumi e microlesioni ripetute nel tempo che indeboliscono e/o danneggiano alcune fibre tendinee, determinando lo stato infiammatorio prima e lo stato degenerativo poi.

«I microtraumi sono conseguenza della ripetizione nel tempo di movimenti errati che impegnano i muscoli estensori in maniera scorretta. Per questo il problema riguarda spesso lavoratori manuali alle prese con mansioni ripetitive: è il caso, per esempio, di chi usa molto il mouse del computer, ma anche di casalinghe e artigiani che utilizzano utensili vibratili che sottopongono il tendine a sollecitazioni improprie» spiega Andrea Grasso. «Non mancano anche casi, per quanto siano meno frequenti, in cui l’epicondilite è la conseguenza di un unico trauma diretto».

Nella pratica sportiva, a essere interessati sono più facilmente gli sportivi amatoriali, che più facilmente effettuano gesti tecnici imprecisi e scorretti rispetto ai professionisti e, a dispetto del nome della patologia, non viene coinvolto necessariamente solo chi fa tennis; l’epicondilite, infatti, può interessare anche chi pratica altri sport, come baseball, pallavolo, pallacanestro, scherma, lanci in atletica.

I sintomi dell’epicondilite

La manifestazione tipica di questa condizione è sempre il dolore, che generalmente si concentra in un punto ben preciso dell’articolazione: sulla sporgenza laterale esterna del gomito, dove si inseriscono i muscoli che si usano per ruotare il braccio in senso orario.

«Poiché il tendine e i muscoli coinvolti sono quelli implicati nell’estensione e nella torsione del polso, nell’estensione della mano, delle dita e dell’avambraccio, il dolore può poi irradiarsi fino alla mano e acutizzarsi quando si deve sollevare un carico, piegare il braccio, quando si impugnano e maneggiano oggetti anche piccoli e quando si effettuano torsioni del polso, per esempio per girare la chiave in una serratura» descrive l’ortopedico.

Se inizialmente si può avvertire solo una debolezza del braccio e una perdita di forza, che passa o tende a diminuire con il riposo (per cui per esempio dopo una notte di sonno ci si risveglia senza fastidi), col tempo, in assenza di un trattamento adeguato, il dolore può peggiorare sino a essere tale da impedire i movimenti.

Come si diagnostica

Può essere sufficiente una visita clinica del paziente perché l’occhio esperto del medico ponga una corretta diagnosi di gomito del tennista, ma in genere si ricorre ad alcuni ulteriori esami.

«In particolare si prescrive, generalmente, un esame radiografico o una ecografia del gomito non solo per avere una conferma della patologia, ma anche per verificare la presenza o meno di calcificazioni del tendine, che sono un’eventualità piuttosto frequente» spiega Andrea Grasso.

«Se, poi, il problema dura da molto tempo e può quindi essere subentrata una tendinosi degenerativa, può essere opportuna anche una risonanza magnetica nucleare per valutare la qualità del tessuto tendineo».

Come si cura

«Il primo trattamento dell’epicondilite prevede in genere il riposo inteso come la sospensione di quei movimenti scorretti che hanno contribuito a infiammare il tendine e a contrarre i muscoli» spiega lo specialista.

Importante è anche ricorrere all’applicazione di una borsa del ghiaccio (vanno bene anche le buste di ghiaccio istantaneo che si trovano in farmacia) per circa 10-15 minuti, tre volte al giorno, perché il freddo aiuta a ridurre il dolore associato all’infiammazione (determinando un restringimento dei vasi sanguigni).

I farmaci antinfiammatori (per bocca o in pomata, da applicare localmente) possono essere utili in un primo tempo per contrastare un sintomo doloroso particolarmente forte, ma la loro assunzione non va comunque protratta a lungo (di solito per non più di 5-6 giorni).

«Oltre a mettere completamente a riposo il gomito, è importante seguire anche una fisioterapia specifica suggerita dall’ortopedico o dal fisioterapista, che consiste nell’esecuzione di determinati esercizi di stretching che sciolgono i muscoli epicondiloidei contratti, abbinati ad altri movimenti che hanno invece lo scopo di rinforzare la muscolatura epitrocleare, antagonista di quella contratta» sottolinea lo specialista.

In questo modo, da una parte si aumentano la forza e la resistenza muscolare a livello del braccio e dell’avambraccio, stabilizzando l’articolazione, e dall’altra si imparano a svolgere correttamente i movimenti, attuando così anche una strategia di prevenzione e di riduzione del rischio di future recidive di epicondilite.

«Sin dalla comparsa dei sintomi, finché si avverte dolore e anche per tutta la durata della fisioterapia, ci si può inoltre aiutare indossando un tutore specifico per l’epicondilite» evidenzia l’ortopedico. «È una sorta di braccialetto in tessuto semirigido dotato di una specie di pallina in gel che funge da pressore: indossato appena prima del gomito, il pressore scarica le vibrazioni e le sollecitazioni dei movimenti, evitando che vadano a infiammare ulteriormente il tendine».

Alla fisioterapia prima descritta si abbina in genere anche una terapia fisica strumentale, cioè sedute fisioterapiche che sfruttano appositi macchinari per ottenere un’azione decontratturante e antinfiammatoria.

In questi casi si può ricorrere, per esempio, alla laserterapia o alla tecarterapia. «La strategia di elezione che si mostra particolarmente efficace è però quella con le onde d’urto, perché queste possono essere direzionate con precisione nel punto interessato dall’epicondilite» sottolinea Andrea Grasso.

«Le onde d’urto agiscono sui tessuti e sulle cellule stimolando la produzione di sostanze antinfiammatorie e anche favorendo la rigenerazione dei tessuti». In genere si comincia con un ciclo composto da una decina di sedute della durata di circa 15 minuti ciascuna, ripetibile in caso di necessità.

Epicondilite: cosa si fa nei casi più complessi

Nei casi cronici e in quelli che non sortiscono sostanziali miglioramenti con le opzioni sin qui descritte, è possibile ricorrere a infiltrazioni locali.

«In molti casi si ricorre ad alcune infiltrazioni di farmaci cortisonici, ma, se da un lato risultano efficaci, dall’altro non mancano di far registrare molti effetti collaterali tanto da danneggiare e indebolire i tessuti» evidenzia lo specialista.

«L’alternativa oggi scientificamente più valida e consigliabile è rappresentata dal ricorso a infiltrazioni di PRP, già utilizzate da tempo, per esempio, anche per le patologie tendinee e intrarticolari della spalla e di altre articolazioni. PRP sta per platelet rich plasma, vale a dire plasma arricchito in piastrine: è un gel che si ottiene dalla centrifugazione del sangue (proveniente dallo stesso paziente in cui viene infiltrato) e dalla successiva separazione delle piastrine dagli altri componenti. In pratica in questo modo si ricava un concentrato, iniettabile, particolarmente ricco di piastrine che rilasciano fattori di crescita: così, una volta infiltrato, risulta efficace nel modulare i processi infiammatori e nell’indurre i processi rigenerativi nel tendine interessato».

In genere sono sufficienti 2-3 infiltrazioni per ottenere i miglioramenti sperati e la scomparsa del dolore.

In quei pochissimi pazienti in cui nessuna delle soluzioni sin qui indicata si rivela efficace, l’ultima opzione resta il ricorso all’intervento chirurgico. In genere si procede con un’operazione eseguita in regime di day hospital e con un’anestesia loco-regionale, intervento che, se si ha la possibilità di valutare eventuali lesioni associate, può essere effettuato anche in artroscopia. Si tratta di una procedura che consente di operare all’interno dell’articolazione sfruttando microincisioni attraverso cui inserire piccoli strumenti chirurgici e un artroscopio, cioè una telecamera che consente di visualizzare la parte da operare.

In caso contrario si effettua un intervento “a cielo aperto”: «Incidendo a livello dell’epicondilo, si disinserisce il tendine infiammato dai muscoli dell’avambraccio, quindi lo si incide e lo si ripulisce dal tessuto degenerativo che lo ha ricoperto a causa dell’infiammazione, per poi procedere a riposizionarlo correttamente reinserendolo nell’osso» spiega l’ortopedico.

Di solito l’intervento è risolutivo, anche se richiede poi un percorso personalizzato di riabilitazione prima di poter tornare alle normali attività quotidiane.

Valeria Ghitti
Valeria Ghitti
Nata sulle sponde bresciane del lago d’Iseo con la passione per il giornalismo nelle vene, comincia, nell’estate del 2000, freschissima di diploma al liceo classico, a muovere i primi passi nella redazione di un service giornalistico milanese, e a collaborare così con testate nazionali femminili e di salute. Nello stesso periodo inizia il percorso universitario in Scienze della comunicazione a Trieste, che prosegue parallelamente al lavoro. Diventata giornalista pubblicista nel 2003, porta avanti collaborazioni con numerose testate della carta stampata, per lo più settimanali e mensili a tiratura nazionali, ma anche testate online e radiofoniche, occupandosi di salute (dall’alimentazione alla sessualità, dalla medicina al benessere, alla psicologia), divulgazione scientifica, bellezza, ambiente, stili di vita e gossip. Negli anni affianca all’attività giornalistica quelle di ufficio stampa (soprattutto nell’ambito turistico, della cultura e dello spettacolo), di correttrice di bozze, di ghostwriter e di web content editor e, più recentemente, quella di mamma. Freelance praticamente da sempre e ormai a un passo dalla laurea, dal 2016 può annoverare tra le sue collaborazioni anche quella con SapereSalute.it

Articoli correlati

Pubblicità

Gli articoli più letti

I servizi per te
Farmaci a domicilio
Prenota una visita