È una malattia subdola, che colpisce progressivamente la memoria e le funzioni cognitive.
Non si tratta di un semplice segno dell’invecchiamento, ma di una vera e propria patologia neurologica caratterizzata dal progressivo danneggiamento di alcune aree cerebrali.
La causa principale è la formazione, nel cervello dei malati di Alzheimer, di accumuli di proteine “anomale” che interferiscono con la comunicazione fra neuroni e ne provocano la morte: la proteina beta amiloide forma le cosiddette “placche amiloidi”, mentre una forma modificata della proteina tau i “grovigli neurofibrillari”.
Una lenta, ma inarrestabile, perdita dell’autonomia
Il primo sintomo è spesso la difficoltà a ricordare eventi o informazioni recenti.
Progressivamente i disturbi si fanno sempre più invalidanti: oltre a una significativa perdita della memoria, compare un forte disorientamento spazio-temporale, importanti disturbi di linguaggio, difficoltà a riconoscere i propri cari e a svolgere anche le più semplici attività quotidiane (come prendersi cura della propria alimentazione e dell’igiene personale), con conseguente perdita dell’autonomia e necessità di assistenza continua.
Inoltre, spesso si assiste anche a un cambiamento della personalità e alla comparsa di disturbi dell’umore (ansia, depressione, forte irritabilità).
Come si arriva alla diagnosi
In caso di sospetto Alzheimer, il percorso diagnostico si basa inizialmente sull’esclusione di altre malattie con sintomi molto simili. Si procede quindi con un’anamnesi accurata e con l’esecuzione di esami del sangue e delle urine, test neuropsicologici, TAC, ecc, in modo da valutare se si possa trattare, per esempio, di disturbi alla tiroide o patologie a carico dei vasi sanguigni cerebrali, oppure di altre forme di demenza.
I medico può ritenere utili anche alcuni specifici esami che permettono di ottenere ulteriori informazioni per riconoscere questa patologia.
A questo scopo vengono utilizzate:
- la risonanza magnetica ad alta definizione, che consente di visualizzare eventuali cambiamenti in particolari aree del cervello
- la tomografia a emissione di positroni (PET) con fluorodesossiglucosio (18F-FDG), un analogo del glucosio marcato radioattivamente, che permette di evidenziare l’attività metabolica del cervello
- una puntura lombare, per valutare la presenza nel liquido cerebrospinale delle proteine beta amiloide e tau.
Una volta effettuata tutta questa serie di esami, si potrà giungere a una diagnosi di possibile o probabile Alzheimer: la certezza assoluta che si tratti di questa patologia può arrivare infatti solo una volta effettuato l’esame autoptico dopo la morte del paziente.
Possibile o probabile?
La diagnosi di probabile Alzheimer viene posta quando non si individua nessun’altra malattia che possa causare i sintomi neurologici osservati nel paziente: in questo caso si ritiene quindi molto probabile che sia proprio l'Alzheimer a scatenarli.
Se invece, oltre ai deficit cognitivi tipici di questa malattia, viene contemporaneamente riscontrata anche una patologia neurologica o sistemica che potrebbe contribuire a originare la demenza, la diagnosi diventa meno sicura. In questi casi si parla di “possibile” Alzheimer.
Farmaci per alleviare i sintomi
Nonostante gli sforzi dei ricercatori impegnati nello studio di questa malattia e nello sviluppo di nuovi farmaci sperimentali, oggi non è ancora possibile fermare il decorso dell’Alzheimer, né tantomeno far regredire i suoi sintomi.
Una diagnosi precoce può però permettere di rallentare temporaneamente il declino cognitivo.
Per ritardare la progressione dei sintomi, in particolare la perdita di memoria, vengono di solito prescritti, nelle prime fasi della malattia, inibitori dell’acetilcolinesterasi: in questo modo viene bloccata l’azione dell’enzima responsabile della degradazione dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore che gioca un ruolo fondamentale nella comunicazione fra i neuroni. Lo scopo è quindi quello di aumentarne i livelli, che nei malati di Alzheimer risultano particolarmente bassi.
Nei casi di Alzheimer di grado moderato può essere invece prescritta la memantina, molecola in grado di proteggere il cervello dall’eccesso di glutammato, che può essere tossico per le cellule nervose.
Altri farmaci permettono infine di controllare sintomi molto invalidanti, come l’insonnia, la depressione e i disturbi comportamentali.
La terapia non è solo farmacologica
Oltre ai farmaci possono essere utili anche trattamenti non farmacologici che stimolano la riabilitazione cognitiva dei pazienti e combattono il loro disorientamento spazio-temporale, con lo scopo di migliorare la qualità di vita.
Viene per esempio proposta una terapia di orientamento alla realtà che, come dice il nome, punta a preservare l’orientamento del paziente nei confronti di sé stesso, dell’ambiente e delle persone che lo circondano. Oppure una terapia occupazionale, che mira a salvaguardare le capacità residue del malato, per cercare di mantenere il più a lungo possibile un buon grado di autonomia.