Emofilia: ecco le terapie

Fondamentale, per chi ne soffre, avere sempre a disposizione il Fattore VIII. Oggi esiste un’ampia gamma di formulazioni.

Di certe cose basta poco, ma quel poco non deve mancare. È il caso del Fattore VIII della coagulazione, una proteina indispensabile per regolare la complessa cascata di reazioni biochimiche che permette al sangue di mantenersi abbastanza fluido per scorrere in vene e arterie, ma di coagularsi rapidamente in caso di microemorragie interne o ferite di piccole e medie dimensioni (un taglio a un dito, una sbucciatura al ginocchio o un comune intervento odontoiatrico ecc.).

Quando il Fattore VIII scarseggia si instaura l’emofilia di tipo A (la forma più diffusa), una malattia genetica ereditaria che colpisce esclusivamente gli individui di sesso maschile e determina una marcata propensione a sviluppare emorragie ed ematomi, anche gravi.

L’1 per cento è il livello di Fattore VIII che segna la linea di demarcazione tra coagulazione normale (o quasi) e alterata. Al di sopra di questa soglia, non si hanno problemi. Al di sotto, compare l’emofilia.

Il Fattore chiave

Fino ad alcuni decenni fa, soffrire di emofilia poteva comportare notevoli limitazioni nella vita quotidiana nonché l’elevato rischio di andare incontro a complicanze a lungo termine, soprattutto a livello articolare (artropatia emofilica).

Sebbene anche negli emofilici, piccoli tagli e graffi superficiali a volte guarivano spontaneamente, i soggetti con forme gravi non trattate dovevano cercare di evitare il più possibile attività a rischio di caduta, ferite e traumi.

Inoltre dovevano fare di tutto per non sottoporre muscoli e articolazioni a stress eccessivo, o con movimenti bruschi o ripetuti, oppure sovraccaricandoli con pesi eccessivi.

Infatti, le microlesioni che comunemente si verificano in queste circostanze a livello dei piccoli vasi sanguigni che irrorano muscoli e articolazioni (innocue per le persone sane), nei soggetti con un livello di Fattore VIII inferiore all’1 per cento possono continuare a sanguinare a lungo, determinando la formazione ematomi di dimensioni considerevoli ed “emartri”, ossia accumuli di sangue all’interno delle guaine articolari che causano gonfiore, dolore intenso e difficoltà di movimento.

Mentre gli ematomi superficiali in genere guariscono senza lasciare sequele, il ripetersi degli emartri a carico di una stessa articolazione può determinare lo sviluppo di deformità permanenti e invalidità funzionale.

La terapia a domanda

Per prevenire queste complicanze è essenziale intervenire rapidamente somministrando un’adeguata quantità di Fattore VIII, attraverso iniezioni endovenose ogni volta che insorge un emartro.

Lo stesso tipo di trattamento è necessario in presenza di emorragie causate da ferite di una certa importanza o in occasione di interventi chirurgici.

È quella che viene definita terapia a domanda, perché attuata dopo che il danno ai vasi sanguigni si è già verificato, ed è indicata nei soggetti emofilici che presentano pochi episodi emorragici all’anno e in chi ha livelli di Fattore VIII non troppo bassi (2-5%) .

La profilassi

Per chi tende a sviluppare emartri, ematomi o emorragie con maggior frequenza (da una volta al mese a 2-3 volte alla settimana) va valutata insieme al medico la possibilità di intraprendere una profilassi, basata sulla somministrazione endovenosa periodica a lungo termine di Fattore VIII (in genere, tre volte alla settimana, a giorni alterni, con uno di pausa), a prescindere dal verificarsi di traumi o emorragie acuti.

Questa strategia rappresenta una vera e propria cura dell’emofilia perché, riportando il livello del Fattore VIII al di sopra dell’1 per cento, di fatto elimina la malattia.

Un piccolo rischio residuo di emorragie persiste in occasione di attività che comportano un’alta probabilità di traumi o sanguinamento (attività caratterizzate da un’elevata probabilità di traumi, interventi chirurgici ecc.): in questi casi, la somministrazione di Fattore VIII può essere pianificata con frequenza quotidiana.

Quando il bambino è piccolo, il Fattore VIII viene di solito somministrato dai genitori, ma l’ideale è che venga abituato a poco a poco a prendere confidenza con le iniezioni endovenose e inizi (generalmente intorno ai 10-12 anni) a somministrarsi da solo la terapia.

In questo modo, si renderà presto indipendente e si sentirà anche più sicuro.

A ciascuno il suo dosaggio

Il dosaggio di Fattore VIII viene deciso dal medico del centro di emofilia a seconda dei casi e secondo un piano terapeutico ben preciso.

Al paziente viene richiesto di tenere traccia delle infusioni effettuate tramite un diario infusionale.

Oggi esistono in commercio, diverse formulazioni che coprono tutta la gamma delle possibili necessità di dosaggio, da un minimo di 250 UI fino a un massimo di 3.000 UI da ricostituire in un volume ridotto.

Alcuni prodotti poi hanno un sistema di ricostituzione avanzato senza esposizione di aghi o parti taglienti, potenzialmente pericolosi per chi soffre di emofilia.

Inoltre, alcune formulazioni di Fattore VIII ricombinante sono anche in grado di resistere fuori dal frigorifero, a patto che la temperatura non salga sopra i 25 °C.

Questo rappresenta un indubbio vantaggio perché consente di portare sempre con sé il farmaco, senza preoccuparsi della sua conservazione.

Rosanna Feroldi
Rosanna Feroldi
Da adolescente le avevano detto di fare il liceo classico e ha scelto lo scientifico. Alla maturità, le hanno detto di iscriversi Lettere e Filosofia e ha puntato su Biologia. Dopo laurea e tirocinio, al dottorato in elettrofisiologia ha preferito un corso di comunicazione e giornalismo scientifico della Facoltà di Farmacia - Università Statale di Milano. Insomma, non è il tipo che si lascia convincere facilmente. Da lì, è iniziato, più per gioco che per scelta, un percorso professionale che continua con soddisfazione da quasi vent'anni, passando da attività di consulente per la comunicazione su salute e stili di vita sani per il Progetto Città sane - Comune di Milano alla proficua collaborazione con la Fondazione San Raffaele di Milano, dove per 13 anni si è occupata di realizzare il magazine dell'Ospedale San Raffaele destinato ai pazienti e materiale divulgativo distribuito nell'ambito di campagne di sensibilizzazione, nonché di supportare l'attività di ufficio stampa. Contemporaneamente, entusiasta, mai stanca ed esagerando anche un po', ha interagito con numerose realtà editoriali come giornalista scientifica e medical writer, realizzando contenuti per riviste dirette al pubblico, ai medici e ai farmacisti. Il sopravvento del web ha cambiato molte cose, ma non l'ha indotta a desistere. Così, eccola ora alle prese prevalentemente con progetti editoriali online e attività di comunicazione/reportistica medico-scientifica nelle aree cliniche più disparate. A volte, si chiede come abbia fatto, altre come continuerà. The show must go on.

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