Quali trattamenti per l’edema maculare diabetico?

Dal laser ai farmaci intelligenti, passando per gli impianti intraoculari: una panoramica sui trattamenti e sui loro meccanismi d’azione.

L'edema maculare diabetico colpisce prevalentemente le persone affette da diabete. Si tratta della causa più frequente di cecità nelle persone in età lavorativa. Se diagnosticato in tempo, è possibile ridurre la sua progressione, riducendo i sintomi e preservando la funzione visiva.

Terapia con la luce

Ovvero, con il laser: si tratta della fotocoagulazione laser retinica, che permette di eliminare le zone infiammate, dove cioè si verifica la produzione di VEGF (fattore di crescita dell'endotelio vascolare). È questa, infatti, la molecola che favorisce il passaggio di liquido dai vasi sanguigni al tessuto retinico, dando origine all'edema e al rigonfiamento.

Questa procedura, che per anni ha rappresentato l’opzione terapeutica più comunemente utilizzata, permette di stabilizzare la malattia, ma non di recuperare la vista perduta.

Frenare l'infiammazione con i farmaci

Lo studio dei meccanismi molecolari e cellulari alla base dell'edema maculare diabetico ha permesso di mettere a punto terapie alternative al laser. La maggior parte dei farmaci utilizzati hanno l'obiettivo di bloccare l'aumento della permeabilità vascolare che sta alla base della patologia. In particolare agendo su alcune sostanze, tra cui il VEGF.

I farmaci anti-VEGF sono stati utilizzati per la prima volta nella cura della degenerazione maculare legata all’età (DMLE). Dal momento che le due patologie si sviluppano per il malfunzionamento di alcuni meccanismi comuni, è stato possibile utilizzare tali farmaci anche nella terapia dell'edema maculare diabetico. Il trattamento avviene attraverso iniezione intravitreale.

Le molecole oggi più usate sono ranibizumab e aflibercept; quest’ultimo, oltre a essere un anti-angiogenico ad ampio spettro (blocca e cattura tutte le isoforme del VEGF), è anche in grado di modulare il PIGF, un fattore di crescita placentare anch’esso coinvolto nello sviluppo dell'infiammazione e nella permeabilità dei capillari retinici.

La terapia con aflibercept si basa su una prima fase di “attacco”, che consiste in cinque iniezioni con cadenza mensile, seguite da un’iniezione ogni due mesi, durante il primo anno. A seguire la frequenza delle iniezioni viene ridotta in base alla risposta del paziente e alle valutazioni del medico.

Impianti intravitreali

Per interrompere il processo infiammatorio e recuperare così una parte della visione perduta, oltre ai farmaci anti-VEGF possono essere utilizzati anche quelli a base di cortisonici. Mediante una piccola iniezione, viene inserito un impianto intravitreale, posto cioè all'interno della cavità oculare.

Si tratta di piccole strutture costituite da sostanze totalmente biodegradabili, che contengono al loro interno il farmaco da somministrare. Gli impianti, una volta all'interno dell'occhio, si sciolgono lentamente, rilasciando il principio attivo in maniera controllata e prolungata, per un periodo che può variare da alcuni mesi ad alcuni anni.
Questi impianti intravitreali cortisonici sono particolarmente indicati nel caso di persone resistenti ai comuni farmaci anti-VEGF.
Effetti collaterali?
Parlando di terapia con farmaci steroidei, i possibili effetti collaterali possono essere:

  • aumento della pressione oculare, risolvibile con l'assunzione di colliri specifici
  • formazione di cataratta, su cui si può intervenire con un intervento chirurgico in day-hospital

Chirurgia

Soltanto raramente viene consigliato l'intervento chirurgico, principalmente nei casi in cui la retina è sottoposta a stress meccanico a causa dell'edema.

Valentina Torchia
Valentina Torchia
Nata il giorno di S. Ambrogio, a Milano, il suo primo regalo è stata una copia de I promessi sposi gentilmente donata dal comune della città meneghina a tutti i nati nel 7 dicembre. Appassionata di scienza, dopo il liceo scientifico prende la laurea magistrale in Biotecnologie Mediche Molecolari e Cellulari, con una tesi su epigenetica e neuroscienze. Si rende conto di essere un topo da biblioteca e non da laboratorio, così unisce alla scienza la sua più grande passione: la scrittura. Dopo un master in Comunicazione e Salute, viene premiata dall'UNAMSI e vince una borsa di studio di un anno all'Assessorato alla Sanità di Regione Lombardia. Da qui in poi, ha approfondito la comunicazione della scienza sotto molteplici forme: dal copywriting al giornalismo scientifico, tra agenzie di comunicazione e riviste online e cartacee. Nel tempo libero, scrive narrativa per bambini e ragazzi. Ha collaborato per alcuni anni con Geronimo Stilton, il famoso gentiltopo giornalista. Ora sta terminando un corso di formazione per autori di produzioni multimediali, a Bologna, presso la scuola Bottega Finzioni. Adora i viaggi, il nomadismo digitale e tutto ciò che riguarda il Giappone.

Articoli correlati

Pubblicità

Gli articoli più letti

I servizi per te
Farmaci a domicilio
Prenota una visita