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Clamidia: quali sono i sintomi

24 Marzo 2020
L’infezione da Chlamydia trachomatis decorre spesso in maniera asintomatica, ma può causare complicanze anche gravi.
Tempo di lettura: 17 minuti

L’infezione da Chlamydia trachomatis decorre spesso in maniera asintomatica, ma può causare complicanze anche gravi.

Con il termine Clamidia si indica comunemente un batterio, il cui nome scientifico è Chlamydia trachomatis, responsabile principalmente di infezioni degli organi genitali e dell’ultimo tratto delle vie urinarie sia nelle donne sia negli uomini. Inoltre, può causare una particolare forma di congiuntivite e di polmonite nei neonati di madri affette.

In verità, del batterio esistono diversi sottotipi, identificati con le lettere dalla A alla L; di questi alcuni (A, B e C), presenti prevalentemente nelle regioni più povere di Africa e Asia, sono causa di una grave infezione oculare (tracoma) che si trasmette per contagio diretto oppure attraverso insetti e che può portare a cecità.

La maggior parte dei sottotipi diffusi nel mondo occidentale (D, E, F, G, H, J, K, L) hanno invece come bersaglio primario l’apparato genitale e l’apparato urinario e attualmente costituiscono la più frequente in assoluto tra le infezioni batteriche a trasmissione sessuale.

Molto diffusa, ma sfuggente

Secondo i più recenti rapporti dello European centre for disease prevention and control (ECDC) e della Organizzazione mondiale della sanità i casi di infezione da Chlamydia trachomatis a trasmissione sessuale riportati ogni anno rappresentano solo una minima parte di quelli reali: molti sfuggono ai sistemi di sorveglianza nazionali perché decorrono in forma asintomatica.

Il fatto che molto spesso l’infezione non provochi sintomi non significa che sia innocua, in quanto, se non viene trattata, in un’alta percentuale di casi può determinare esiti a lungo termine anche gravi e compromettere in entrambi i sessi la capacità riproduttiva.

È proprio in considerazione della sua pericolosità e della crescente diffusione in età giovanile che le organizzazioni sanitarie nazionali e internazionali la identificano ormai come un problema di salute pubblica.

Sebbene sia dimostrato che la diagnosi precoce dell’infezione consente di limitare la propagazione del batterio e di prevenire nei soggetti già infettati lo sviluppo delle complicanze più temibili, sono ancora pochi i Paesi che offrono programmi di screening atti a scoprire l’infezione, anche quando non sia manifesta, nelle fasce di popolazione più a rischio.

Dai dati disponibili si stima che l’infezione sia identificata solo nel 10% delle persone effettivamente contagiate; inoltre, risulta che la diagnosi viene posta prevalentemente in adolescenti e giovani adulti, dai 15 ai 24 anni, con tassi più alti tra le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni.

In Inghilterra, la nazione con il programma di screening più esteso, il tasso di positività al test diagnostico applicato nei giovani dai 16 ai 25 anni è risultato pari al 10-11% dei soggetti esaminati.

Attenzione ai rapporti sessuali a rischio

Gli individui maggiormente a rischio di contrarre l’infezione sono pertanto gli under-25 sessualmente attivi, soprattutto qualora pratichino rapporti sessuali non protetti dal preservativo, con partner affetti dalla malattia oppure portatori del batterio. Inoltre, l’infezione da Chlamydia trachomatis è spesso presente in soggetti affetti contemporaneamente da altre malattie sessualmente trasmissibili, come per esempio la gonorrea.

Negli adolescenti e negli adulti il contagio avviene sempre attraverso il rapporto sessuale, con qualsiasi modalità esso venga praticato: per via vaginale, anale e oro-genitale. Infatti il batterio è presente sulle superfici degli organi genitali e nelle secrezioni (secrezioni vaginali, liquido pre-coitale, sperma) e durante il rapporto sessuale viene trasferito da un partner all’altro per contatto genitale diretto o possibilmente anche attraverso le mani o oggetti da poco contaminati dai liquidi biologici infetti.

È importante ricordare che l’infezione si trasmette anche quando il partner che ne è portatore è asintomatico (e quindi potrebbe a sua volta non sapere di averla contratta).

Nelle donne con infezione da Chlamydia trachomatis va considerato un ulteriore rischio di contagio, che riguarda un’eventuale gravidanza e coinvolge il neonato. La trasmissione del batterio dalla madre al bambino avviene al momento del parto se questo si compie per via vaginale: nel passaggio attraverso il canale del parto, a contatto diretto con le mucose genitali materne contaminate, il neonato può infettarsi. Tale evenienza si verifica nel 30-40% delle gravidanze a rischio.

Sintomi poco specifici (e spesso assenti)

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Negli adolescenti e negli adulti di entrambi i sessi oltre il 70% delle infezioni decorre in forma asintomatica, senza cioè provocare disturbi che possano far sospettare la presenza di una malattia a trasmissione sessuale.

Nei casi inizialmente asintomatici in cui l’infezione, non diagnosticata e non curata, progredisce, essa diventa manifesta solo quando insorgono le complicanze più gravi.

Quando invece compare precocemente (a distanza di 1-3 settimane dal contagio) una sintomatologia attribuibile a infezione genitale da Chlamydia trachomatis, si tratta di disturbi in parte simili a quelli presenti in altre malattie a trasmissione sessuale (per esempio la gonorrea).

Nella donna i sintomi iniziali più frequenti sono conseguenti allo stato di infiammazione delle mucose delle vie genitali inferiori, soprattutto della vagina e della cervice uterina (collo dell’utero) e dell’ultimo tratto delle vie urinarie (uretra): secrezioni vaginali bianco-giallastre, piccole perdite vaginali ematiche (spotting) nel periodo intermestruale del ciclo oppure a seguito di rapporti sessuali, prurito genitale, sensazione di fastidio o dolorabilità vaginale durante il coito (dispareunia), dolore e bruciore durante la minzione.

Con il persistere dell’infezione i sintomi locali possono diventare più intensi e si possono aggiungere dolori addominali a livello pelvico (basso ventre), indolenzimento a livello lombare, nausea e febbre. In assenza di un adeguato trattamento l’infezione può infatti estendersi, salendo lungo le vie genitali, fino agli organi interni e provocare uno stato infiammatorio cronico.

Nell’uomo i sintomi iniziali dell’infezione sono più spesso dovuti all’interessamento delle vie urinarie e un po’ meno di frequente a quello degli organi genitali: secrezioni uretrali, dolore e bruciore durante la minzione, prurito nell’area genitale. Successivamente possono comparire dolore, edema e infiammazione a livello dei testicoli a causa del propagarsi dell’infezione lungo l’epididimo, il condotto nel quale si raccoglie il liquido spermatico prima di confluire verso l’esterno durante l’eiaculazione.



Donne
Uomini
Sintomi iniziali

Secrezioni vaginali bianco-giallastre

Piccole perdite vaginali ematiche (spotting) nel periodo intermestruale del ciclo oppure a seguito di rapporti sessuali, prurito genitale

Sensazione di fastidio o dolorabilità vaginale durante il coito (dispareunia)

Dolore e bruciore durante la minzione

Secrezioni uretrali

Dolore e bruciore durante la minzione

Prurito nell’area genitale

Sintomi successivi

Dolori addominali a livello pelvico (basso ventre)

Indolenzimento a livello lombare

Nausea

Febbre

Dolore, edema e infiammazione a livello dei testicoli


A seguito di rapporti oro-genitali o di rapporti anali la Chlamydia trachomatis può infettare rispettivamente le mucose della faringe o dell’ultimo tratto dell’intestino (retto): spesso queste infezioni sono asintomatiche, ma talora determinano uno stato infiammatorio, con mal di gola e difficoltà di deglutizione nel primo caso e sintomi attribuibili a proctite (dolore durante la defecazione, presenza di muco e sangue nelle feci) nel secondo.

Una manifestazione particolare dell’infezione da Chlamydia trachomatis, che è causata solo da batteri del sierotipo L, è il linfogranuloma venereo. In questo caso l’infezione interessa il circolo linfatico e provoca un’infiammazione, con aumento di volume e dolore, dei linfonodi prossimi alla zona di penetrazione dei germi (inguine, collo o regione anale, a seconda del tipo di rapporto sessuale), che può essere preceduta dalla comparsa a livello delle mucose corrispondenti (genitale, faringea o anale) di piccole ulcere che guariscono spontaneamente in pochi giorni.

I pericoli se non ci si cura

La pericolosità dell’infezione, qualora non venga trattata per tempo, è soprattutto connessa alle possibili complicanze a lungo termine.

Nella donna, la patologia più temibile, dovuta all’estendersi dell’infezione agli organi genitali interni, è la malattia infiammatoria pelvica (MIP), che può portare a una condizione di infertilità per aumento del rischio di aborti e di gravidanze extrauterine o addirittura di sterilità per occlusione delle tube di Falloppio.

Nell’uomo la propagazione dell’infezione dall’uretra, dove si localizza inizialmente, all’epididimo e ai testicoli può comportare un’infiammazione cronica dell’apparato genitale (epididimo-orchite) e anche in questo caso compromettere la capacità riproduttiva.

Un’altra possibile sequela dell’infezione da Clamidia, comune anche ad altre malattie batteriche, è la cosiddetta sindrome di Reiter, un’infiammazione sistemica causata da una reazione anomala del sistema immunitario, che colpisce contemporaneamente le articolazioni, gli occhi e le vie urinarie.

In gravidanza l’infezione può implicare ritardo di crescita del feto, parto pretermine, rottura prematura delle membrane, endometrite post-parto, basso peso del feto alla nascita, morte neonatale.

Inoltre i neonati infettati durante il parto possono avere una colonizzazione batterica a livello oculare, oto-naso-faringeo, uro-genitale e rettale: fino al 50% di essi sviluppa una congiuntivite 1-2 settimane dopo la nascita e il 10-20% una grave polmonite interstiziale a 1-3 mesi di distanza.

La diagnosi arriva dal laboratorio

In presenza dei sintomi sopra descritti oppure se si sospetta di essere stati esposti a contagio è opportuno rivolgersi subito al proprio medico.

Alla diagnosi di infezione da Chlamydia trachomatis si arriva attraverso esami di laboratorio. Alcune tecniche permettono di identificare direttamente il microrganismo nelle cellule delle mucose delle vie genitali o urinarie, ma richiedono il prelievo di materiale biologico attraverso un tampone all’interno della cervice uterina o dell’uretra.

I test oggi più utilizzati sono però quelli che utilizzano le tecniche di amplificazione del materiale genetico del microrganismo: sono ritenuti più affidabili e sono di più semplice esecuzione e meno invasivi perché possono essere effettuati anche sulle secrezioni vaginali, facilmente prelevabili dalle pazienti stesse attraverso un tampone o su un campione di urine (da raccogliere sono quelle di “primo getto” del mattino).

Nei neonati la diagnosi può essere fatta a partire da materiale prelevato con un tampone dal naso-faringe o dalla congiuntiva oppure con aspirazione tracheale in caso di polmonite.

Come si guarisce

Il trattamento dell’infezione, essendo essa di origine batterica, prevede l’impiego di antibiotici.

La terapia è raccomandata in presenza di sintomi sospetti (da iniziare immediatamente, anche senza attendere il risultato del test) oppure in presenza di un risultato positivo al test (anche se non sussistono sintomi); inoltre è consigliata a scopo precauzionale nei partner sessuali delle persone infette e nei soggetti affetti da gonorrea (per l’alta probabilità che le due infezioni coesistano).

Ovviamente nelle donne affette la cura, con gli antibiotici adatti, va effettuata anche in gravidanza.

L’importante è prevenire

La raccomandazione principale rispetto all’infezione da Chlamydia trachomatis, valida per tutte le malattie a trasmissione sessuale, è quella di non esporvisi. L’unico strumento di prevenzione efficace in questo senso è l’astensione dai rapporti intimi a rischio.

Va da sé che, quando non si è sicuri del proprio stato infettivologico o di quello del partner, il sesso protetto è l’unico mezzo che può diminuire il rischio di infettare il partner o di esserne infettati. L’uso del preservativo e l’attenzione alle modalità con cui si pratica il rapporto sessuale rappresentano in questo caso una forma di rispetto per il proprio corpo e per quello del partner e un investimento a tutela della propria e dell’altrui salute, anche di quella sessuale.

Non esistono in questo campo altri modi per evitare di ammalarsi e non esiste, per esempio, una dieta capace di prevenire o curare l’infezione. L’unico consiglio di carattere generale, sempre opportuno per sostenere le difese immunitarie, è quello di seguire un’alimentazione bilanciata, varia e ricca di vitamine, minerali, aminoacidi e acidi grassi essenziali, sostanze prebiotiche e microrganismi probiotici.

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